Sono una studentessa di Biologia Applicata alla Ricerca Biomedica presso l’Università degli Studi di Milano. Attualmente sto svolgendo il tirocinio di tesi finalizzato alla ricerca di un metodo, conforme all’attuale Farmacopea Europea Armonizzata, per la ricerca di B.cepacia all’interno di Farmaci Orali non Sterili per il trattamento di CF. Gradirei sapere qual’è la dose infettante di questo microrganismo e se vi sono riferimenti in letteratura. Grazie.
Abbiamo posto il problema a due scienziati, esperti e molto attivi nelle ricerche su Burkholderia cepacia complex.
Prima risposta. La presenza di B. cepacia all’interno di Farmaci Orali non Sterili e’ un problema risaputo. Bisogna però sottolineare che B. cepacia è un microrganismo ampiamente presente nell’ambiente: suolo e acque (riesce a crescere anche nelle soluzioni disinfettanti utilizzate negli ospedali) ed e’ quindi difficile proteggere da esso i pazienti FC. Inoltre, ogni paziente reagisce al contatto con il microrganismo, che può presentare aggressività varia, in maniera diversa a seconda della sua eta’ e del suo stato di salute generale (capacità polmonare, sistema immunitario etc.); a volte l’infezione da parte di B. cepacia evolve in un’infezione cronica asintomatica, a volte (raramente) dà il via alla “cepacia syndrome” che può avere esiti sfavorevoli per il paziente, a volte si passa da un’infezione cronica ad una acuta senza che se ne sappia il motivo. Tutto questo per dire che non esiste per l’uomo una “dose infettante” di B.cepacia, essendo l’infezione da parte di questo microrganismo un fenomeno multifattoriale, difficilmente controllabile. In ogni caso, per
infettare piccoli animali da laboratorio con i ceppi più virulenti si usano 1×103 batteri inseriti nella trachea, ma non credo che questo dato possa essere molto utile per il problema posto dall’interlocutrice. Altre notizie, o per lo meno spunti, su questo tema si possono trovare su “Persistent and aggressive bacteria in the lungs of cystic fibrosis children”. Hart& Winstanley. British Medical Bulletin 2002:61:81-96
Dr Vittorio Venturi
(International Centre Genetic Engineering & Biotechnology, Padriciano Trieste)
Seconda risposta. La contaminazione microbica di prodotti topici, nasali e inalatori in particolare, è un problema ampiamente dibattuto in letteratura. La presenza di alcuni microrganismi nelle preparazioni non sterili, comprese alcune somministrabili per bocca, potrebbe ridurre o addirittura inattivare l’attività terapeutica del prodotto, e avere un effetto negativo sulla salute del paziente. Pertanto, il controllo microbiologico dei prodotti non obbligatoriamente sterili secondo la nuova monografia armonizzata delle farmacopee internazionali EP, USP e JP è di fondamentale importanza: i produttori devono assicurare una bassa carica microbica dei prodotti finiti durante la produzione, la conservazione e la distribuzione delle preparazioni farmaceutiche. Sul sito www.microbiologyforum.org (Newsletter vol. 12, number 6 June 2006) il Dr. Scott Sutton riporta i limiti dell’identificazione mediante tecniche microbiologiche di microorganismi quali “Burkholderia cepacia” e rimanda all’uso di procedure specifiche per la valutazione della loro presenza (Microbial Limits Tests – The Difference Between “Absence of Objectionable Microorganisms” and “Absence of Specified Microorganisms”). Dagli studi finora effettuati emerge che B. cepacia non è una singola specie ma un complesso di ben 17 specie di batteri Gram-negativi geneticamente distinti ma fenotipicamente molto simili, denominato Burkholderia cepacia complex (BCC). I batteri del BCC sono in grado di colonizzare malati di Fibrosi Cistica (FC) e occasionalmente individui immunocompromessi, causando infezioni anche molto gravi, ma sono stati isolati anche da una grande varietà di habitat naturali, come la rizosfera di piante da raccolto, suolo, acque e sedimenti di fiume. Inoltre, lo stesso BCC risulta un ubiquitario contaminante di cosmetici e soluzioni farmaceutiche e può essere anche responsabile di contaminazioni di soluzioni sterili come soluzioni disinfettanti, per lavaggi di mucose e anestetici. Questi batteri non hanno alcun potere patogeno in individui sani, ma sono stati all’origine di infezioni nosocomiali epidemiche diverse legate alla contaminazione di soluzioni antisettiche, di liquidi iniettabili o di dispositivi medici, soprattutto dispositivi respiratori. Il loro ruolo nella FC è stato descritto a partire dagli anni 80. La severità delle infezioni associate a questi batteri è molto variabile in dipendenza dal paziente e dai ceppi, variando dalla semplice colonizzazione a una infezione grave che può evolvere sfavorevolmente in breve tempo. In effetti, in circa il 20% dei pazienti colonizzati essa si caratterizza per un deterioramento brutale delle capacità polmonari (“sindrome da cepacia “) impegnando la prognosi.
Per isolare i batteri appartenenti al BCC sono stati sviluppati diversi terreni di coltura selettivi, tra i quali il BCSA (Burkholderia cepacia selective agar), un terreno utilizzato per l’isolamento dei batteri da campioni clinici (contenente come fonti di carbonio il lattosio e il saccarosio, e come antibiotici gentamicina e vancomicina), e il PCAT (Pseudomonas cepacia azelaic triptamine), un terreno utilizzato per l’isolamento dei batteri da campioni ambientali (contenente come specifiche fonti di carbonio e azoto l’acido azelaico e la triptammina). La rilevazione il più precoce possibile della presenza di B. cepacia complex nei prodotti farmaceutici non obbligatoriamente sterili è fondamentale per un’attenta valutazione del rischio associato ad un loro utilizzo per i pazienti affetti da FC. La soglia di rilevazione di questi patogeni deve essere la più bassa possibile, uguale in pratica a 102UFC/ml, mentre per le altre specie batteriche appartenenti alla flora commensale, come ad esempio altri bacilli Gram-negativi, questa soglia deve essere di 105 UFC/ml. Prima del riconoscimento delle diverse specie appartenenti al BCC, gli isolati venivano assegnati alla specie “B. cepacia” mediante test biochimici convenzionali che oggi non sono più sufficienti per assegnare un isolato alla precisa specie di appartenenza. Pertanto, per una corretta identificazione dei batteri del BCC è necessario ricorrere all’uso di tecniche molecolari che consentano una rapida e quanto più precisa assegnazione degli isolati al complex, e che forniscano risultati riproducibili anche in diversi laboratori di ricerca. Innanzitutto è fondamentale assicurarsi che l’isolato cresciuto su terreno selettivo appartenga al “complex” mediante analisi molecolari basate sul polimorfismo del gene recA. Per l’identificazione e la tipizzazione dei batteri del BCC è consigliabile utilizzare la tecnica MLST (Multi Locus Sequence Typing) che, sebbene sia costosa e “time-consuming”, permette di identificare ceppi del BCC che non era stato possibile identificare con i metodi molecolari tradizionali basati sul polimorfismo del gene recA e consente ai laboratori di diverse parti del mondo di confrontare i loro isolati mediante le sequenze dei geni presi in esame, attraverso un database internazionale (http://pubmlst.org/bcc). Bisogna, però, tener conto che alcune specie del B. cepacia complex si possono trovare in uno stato vitale ma non coltivabile (VBNC), come anche è possibile che alcune specie potrebbero essere presenti con una densità che è al di sotto del limite di rilevamento che si ottiene utilizzando terreni di coltura. Pertanto, i metodi di isolamento basati sulla coltivazione potrebbero non essere adatti per un’accurata valutazione della presenza del BCC in un particolare ambiente, come ad esempio nelle preparazioni non sterili per il trattamento dei pazienti con fibrosi cistica. Tutto questo assume maggior importanza se consideriamo che, secondo stime pubblicate da Klaus Haberer al recente PDA Conference di Milano del Novembre 2008, il recupero della contaminazione si aggira intorno al 10% del totale della conta vitale. La maggior parte dei microrganismi risulta “non coltivabile” a causa delle limitazioni intrinseche del metodo: scelta della temperatura di incubazione, generalità del terreno, tipo respiratorio, microrganismi “difficili” che necessitano di supplementi specifici. E’ quindi opportuno ricorrere a metodi molecolari indipendenti dalla coltivazione che prevedono l’estrazione diretta del DNA batterico dai campioni in esame e successiva amplificazione mediante un approccio nested-PCR. Chiaramente tutte queste analisi molecolari non sono alla portata di tutti i laboratori e possono essere effettuate soltanto in alcuni laboratori di riferimento da personale esperto sottoposto a training specifico.
Dott.ssa Annamaria Bevivino ( ENEA C. R. Casaccia – Roma)
Alcuni riferimenti bibliografici utili:
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http://pharmtech.findpharma.com/ “The Harmonization of the Microbial Limits Tests”. Dec 2, 2006 By S. Sutton – Pharmaceutical Technology.
European Directorate for the Quality of Medicines. Help desk: http://www.pheur.org/site/page_630.php?rubrique=446