Gentilissima Fondazione, chi scrive è un genitore di una minore di 11 anni. Con la presente, vorrei sottoporvi la seguente domanda. Le normative relative alla Legge 104/92 e alla Legge 388/2000 (congedo retribuito) pongono precisi vincoli a chi usufruisce dei benefici. Tra questi, il non ricovero a tempo pieno anche in strutture pubbliche (ospedali, ecc…): tale obbligo nasce da interpretazioni di Enti Previdenziali come l’INPS e anche da sentenze giuridiche. Per poter rimanere vicino alla figlia, spesso ricoverata, a noi genitori non restano che i permessi non retribuiti o gli avvicendamenti tramite turni, con ulteriori problemi. Chiedo, tramite codesta Fondazione, di intervenire presso le Autorità preposte affinchè quanto descritto possa essere rimediato, tramite una minuscola modifica o integrazione di Legge. Grazie e distinti saluti.
Le normative vigenti prevedono diverse tipologie di agevolazioni, alcune delle quali – come quelle sopracitate – volte a rendere più “facile” la conciliazione dei tempi di cura dei soggetti minorenni affetti da gravi patologie con il tempo di lavoro dei genitori. Tuttavia, come “amaramente” sottolineato dal nostro interlocutore, le stessi leggi o le relative circolari applicative pongono una serie di vincoli che di fatto – come nell’esempio riportato – impediscono o quantomeno rendono difficoltoso prendersi cura dei propri figli, nel momento in cui si rendono necessari ricoveri ospedalieri, soprattutto se frequenti e/o di lunga durata. E’ ormai ben noto come il ricovero ospedaliero possa essere un’esperienza dolorosa e stressante per un adulto, figuriamoci per un minore. La condizione di malattia e l’ospedalizzazione rappresentano a volte esperienze critiche e destabilizzanti, poiché interferiscono con l’abituale stile di vita ed impongono “limitazioni” e “sofferenze”, oltreché comportare l’adattamento ad un contesto vissuto come spersonalizzante e persecutorio. Quando i bambini o gli adolescenti provano sensazioni di disagio o di malessere fisico, la presenza delle figure adulte di riferimento è per loro della massima importanza: il peso psicologico della gestione del ricovero, viene infatti “attenuato” dalla presenza rassicurante di tali figure, che mediano i loro vissuti offrendo protezione, rassicurazione e contenimento.
Porre al centro delle politiche familiari le reali esigenze del minore e creare le condizioni migliori per una crescita equilibrata e serena significa anche riuscire a preservarne il più possibile una condizione di “normalità” di fronte a eventi o situazioni “limitanti” e traumatiche. Si concorda pertanto sulla improrogabile necessità di sottoporre tale delicata questione presso le sedi competenti, attraverso il coinvolgimento del maggior numero di forze politiche e sociali (associazioni di volontariato, di categoria, sindacati, sedi di partito, associazioni civiche come il tribunale per i diritti del malato, ecc.) variamente interessate: la tutela dei diritti non riguarda infatti il singolo cittadino o la singola organizzazione, ma richiede il coinvolgimento e l’impegno di tante persone. Si suggerisce pertanto di interessare in prima istanza la propria associazione regionale per la lotta contro la Fibrosi cistica, attraverso la quale sarà più facile coinvolgere le altre organizzazioni interessate.
Nota redazionale. Abbiamo trasmesso l’appello del nostro interlocutore al Presidente della Lega Italiana Fibrosi Cistica (nella quale sono federate tutte le Associazioni Regionali FC), affinché nell’azione che la Lega sta conducendo presso le Autorità e gli Organismi competenti in materia assistenziale venga focalizzato il problema qui sollevato, anche con la promozione di iniziative normative di perfezionamento delle disposizioni vigenti.