Possibile efficacia degli antibiotici anche nel trattamento di batteri resistenti
30 Aprile 2021
Autore: Dott. Cesare Braggion, Responsabile Area Ricerca Clinica DSA FFC
Partendo dai quesiti posti da un nostro utente sull’effetto degli antibiotici nel trattamento dei batteri resistenti, affrontiamo qui in modo approfondito l’argomento.
“Se su alcuni batteri e sulla loro carica l’antibiotico saggiato è solo modestamente o per nulla attivo, come mai si hanno lo stesso alcuni sensibili miglioramenti durante la sua assunzione?”
Uno dei primi trial randomizzati, controllati con placebo e in doppio cieco (*) che ha studiato l’effetto degli antibiotici somministrati per via endovenosa (ev) è stato quello di Regelmann, che risale al 1990: quanto più la terapia antibiotica ev riduceva la densità di Pseudomonas aeruginosa (unità formanti colonie – CFU) per grammo di espettorato, tanto maggiore era l’aumento dei parametri della spirometria (1).
Citerei altre due evidenze per chiarire il ruolo dell’antibiotico nella malattia polmonare. In fase di esacerbazione polmonare sono stati misurati livelli elevati nell’espettorato di fattori di virulenza di Pseudomonas aeruginosa, come diversi enzimi dannosi e tossine, che si riducevano in rapporto alla terapia antibiotica ev (2, 3). Quest’ultima si accompagnava anche a riduzione nell’espettorato di alcuni indici di infiammazione polmonare, che caratterizzano la fase acuta di esacerbazione polmonare e che hanno alla base un globulo bianco, il neutrofilo, una cellula della difesa contro i microrganismi (4). Possiamo interpretare queste evidenze nel modo seguente:
a) i batteri come Pseudomonas aeruginosa, quando aumentano di numero e virulentano, producono tossine e altri fattori, che sono responsabili dell’accentuazione dei sintomi durante la fase di esacerbazione e possono danneggiare i tessuti polmonari;
b) l’infiammazione, indotta dai fattori di virulenza dei batteri, è una reazione di difesa dell’organismo per contrastare i batteri: il neutrofilo dispone dell’armamentario che serve per contrastare i batteri;
c) durante una fase di esacerbazione polmonare l’infiammazione è perciò molto attiva, ma la terapia antibiotica ev contribuisce a ridurla in modo significativo, come si evince dalla riduzione nell’espettorato del numero dei neutrofili, dell’enzima elastasi prodotto dal neutrofilo e delle interleuchine, che sono i mediatori dell’infiammazione. L’antibiotico riduce perciò la densità dei batteri (il numero di colonie) e la loro produzione di fattori lesivi e così spegne l’infiammazione: ciò si traduce nella riduzione dei sintomi tipici della fase di esacerbazione polmonare. È noto che la risposta a un trattamento antibiotico, valutabile con gli indici ematici di infezione, i sintomi, la spirometria, etc, può essere buona anche se i batteri sono resistenti all’antibiotico utilizzato. Non esiste una ragione chiara alla base di questa discordanza, ma possiamo ipotizzare che comunque l’antibiotico abbia un effetto sui fattori di virulenza prodotti dai batteri e riduca l’infiammazione polmonare, anche senza modificare sensibilmente la carica batterica(una quantificazione precisa di questa non viene eseguita di routine dai laboratori di microbiologia). Oppure,è possibile chel’antibiotico abbia un effetto battericida su alcuni ceppi più sensibili del batterio o su altri batteri, talvolta non identificabili (gli anaerobi ad esempio) con le comuni indagini microbiologiche sull’espettorato. Quando si considera un batterio, i diversi ceppi (o le diverse “tribù”) che lo compongono possono avere sensibilità diversa agli antibiotici e non sempre si isolano tutti i ceppi e si esegue l’antibiogramma su tutti. Vedremo più avanti che, oltre a un effetto indiretto sull’infiammazione, alcuni antibiotici possono avere anche un effetto antinfiammatorio diretto.
L’ambiente polmonare, alterato dal difetto di funzione della proteina CFTR, non viene modificato dalla terapia antibiotica. I batteri si sono adattati nel tempo a questo ambiente, modificando il proprio funzionamento: hanno perso in parte la loro virulenza ma tendono a persistere in una propria nicchia, denominata biofilm (forma cosiddetta “mucoide”), e diventano meno aggredibili dagli antibiotici. Anche l’infiammazione tende a persistere, seppur meno attiva. Così, terminata la terapia antibiotica, i sintomi tipici della malattia polmonare tendono a ripresentarsi e lentamente ad aumentare, come ha ben registrato chi ci ha posto il quesito. Occorre tener presente che nel trattamento della malattia polmonare è compresa la terapia antibiotica “soppressiva”, eseguita in modo costante per via inalatoria o per via orale o con cicli antibiotici ev periodici, o con una combinazione di questi: essa ha infatti lo scopo di mantenere bassa la densità dei batteri e perciò più spento il circolo vizioso infezione-infiammazione, per evitare nuove esacerbazioni polmonari e/o la ripresa dei sintomi.
“C’è qualcosa di metabolico o di mediazione infiammatoria su cui agisce l’antibiotico, che comporta una riduzione della propria produzione di muco?”
Le nostre conoscenze si sono arricchite quando sono state raccolte evidenze che alcuni antibiotici, come l’azitromicina, pur non avendo effetto diretto su Pseudomonas aeruginosa con una attività battericida tale da ridurre la densità del microbo nelle vie aeree, poteva ridurre i suoi fattori di virulenza e l’infiammazione polmonare indotta; ciò poteva avvenire non solo in presenza di Pseudomonas aeruginosa, ma anche in presenza di altri batteri (5-7). Alcuni antibiotici, non solo l’azitromicina, hanno perciò un effetto antinfiammatorio diretto. Occorre ricordare che le diverse sostanze che si liberano nell’infiammazione possono stimolare le ghiandole della sottomucosa a produrre più muco, perciò una diminuzione dell’infiammazione si accompagna a una diminuzione del muco. I trial clinici hanno dimostrato che la somministrazione continuativa di azitromicina poteva stabilizzare i valori della spirometria e i sintomi respiratori, e perciò questo farmaco è diventato una realtà nel trattamento della malattia polmonare (8).
“In caso affermativo, si può ottenere in altro modo questo effetto senza ricorrere all’uso frequente di antibiotici?”
Anche gli antinfiammatori, come l’ibuprofene, hanno dimostrato un effetto di inibizione dell’infiammazione polmonare, con un effetto diretto sul neutrofilo, se somministrati a lungo termine (9). Perciò occorre ribadire che oltre agli antibiotici anche gli antinfiammatori hanno uno spazio importante nella terapia della malattia polmonare. Ci attendiamo che la ricerca identifichi nuove molecole specifiche per contrastare l’infiammazione polmonare nella fibrosi cistica: la ricerca è attiva in questo ambito, ma i processi infiammatori sono complessi ed è difficile identificare il bersaglio verso il quale indirizzare un farmaco. Infine, ci attendiamo che i prossimi studi sui nuovi modulatori della proteina CFTR ne chiariscano l’effetto sui batteri, sull’infiammazione e sulla produzione di muco.
Un’ultima considerazione è d’obbligo: quelli descritti sono fenomeni generali, che si possono ben differenziare in ogni singolo paziente. La malattia polmonare, infatti, è determinata dalle mutazioni del gene CFTR, dai numerosi geni “modificatori”, peculiari di ognuno di noi, e dall’ambiente (fumo attivo e passivo, aderenza alla terapia e ai criteri di prevenzione e controllo delle infezioni, stato socio-economico, struttura del sistema sanitario). E ogni paziente con fibrosi cistica, diverso dall’altro, se impara a conoscersi, sa quale farmaco funziona nel suo caso e così diventa d’aiuto per il medico che lo ha in cura.
1. Regelmann WE, et al. Reduction of sputum Pseudomonas aeruginosa density by antibiotics improves lung function in cystic fibrosis more than do bronchodilators and chest physiotherapy alone. Am Rev Respir Dis 1990; 141:914-921 2. Jaffar-Bandiee MC, et al. Production of elastase, exotoxin A, and alkaline protease in sputa during pulmonary exacerbation of cystic fibrosis in patients chronically infected by Pseudomonas aeruginosa. J Clin Microbiology 1995; 33:924-929 3. Smith WD, et al. Current and future therapies for Pseudomonas aeruginosa infection in patients with cystic fibrosis. FEMS Microbiol Lett 2017; 364:fnx121 4. Ordonez CL, et al. Inflammatory and microbiologic markers in induced sputum after intravenous antibiotics in cystic fibrosis. Am J Respir Crit Care Med 2003; 168:1471-1475 5. Molinari G, et al. Inhibition of Pseudomonas aeruginosa virulence factors by subinhibitory concentration of azithromycin and other macrolide antibiotics. J Antimicrob Chemother 1993; 31:681-688 6. Ratjen F, et al. Effect of azithromycin on systemic markers of inflammation in patients with cystic fibrosis uninfected with Pseudomonas aeruginosa. Chest 2012; 142:1259-1266 7. Bystrzycka W, et al. Azithromycin and chloramphenicol diminish neutrophil extracellular traps (NETs) release. Int J Mol Sci 2017; 18:2666 8. Southern KW, et al. Macrolide antibiotics for cystic fibrosis. Cochrane Database Syst Rev 2012; 11:CD002203 9. Lands LC, et al. Oral non-steroidal anti-inflammatory drug therapy for lung disease in cystic fibrosis. Cochrane Database SystRev 2019; 9:CD001505
Possibile efficacia degli antibiotici anche nel trattamento di batteri resistenti
Partendo dai quesiti posti da un nostro utente sull’effetto degli antibiotici nel trattamento dei batteri resistenti, affrontiamo qui in modo approfondito l’argomento.
Uno dei primi trial randomizzati, controllati con placebo e in doppio cieco (*) che ha studiato l’effetto degli antibiotici somministrati per via endovenosa (ev) è stato quello di Regelmann, che risale al 1990: quanto più la terapia antibiotica ev riduceva la densità di Pseudomonas aeruginosa (unità formanti colonie – CFU) per grammo di espettorato, tanto maggiore era l’aumento dei parametri della spirometria (1).
Citerei altre due evidenze per chiarire il ruolo dell’antibiotico nella malattia polmonare. In fase di esacerbazione polmonare sono stati misurati livelli elevati nell’espettorato di fattori di virulenza di Pseudomonas aeruginosa, come diversi enzimi dannosi e tossine, che si riducevano in rapporto alla terapia antibiotica ev (2, 3). Quest’ultima si accompagnava anche a riduzione nell’espettorato di alcuni indici di infiammazione polmonare, che caratterizzano la fase acuta di esacerbazione polmonare e che hanno alla base un globulo bianco, il neutrofilo, una cellula della difesa contro i microrganismi (4). Possiamo interpretare queste evidenze nel modo seguente:
a) i batteri come Pseudomonas aeruginosa, quando aumentano di numero e virulentano, producono tossine e altri fattori, che sono responsabili dell’accentuazione dei sintomi durante la fase di esacerbazione e possono danneggiare i tessuti polmonari;
b) l’infiammazione, indotta dai fattori di virulenza dei batteri, è una reazione di difesa dell’organismo per contrastare i batteri: il neutrofilo dispone dell’armamentario che serve per contrastare i batteri;
c) durante una fase di esacerbazione polmonare l’infiammazione è perciò molto attiva, ma la terapia antibiotica ev contribuisce a ridurla in modo significativo, come si evince dalla riduzione nell’espettorato del numero dei neutrofili, dell’enzima elastasi prodotto dal neutrofilo e delle interleuchine, che sono i mediatori dell’infiammazione. L’antibiotico riduce perciò la densità dei batteri (il numero di colonie) e la loro produzione di fattori lesivi e così spegne l’infiammazione: ciò si traduce nella riduzione dei sintomi tipici della fase di esacerbazione polmonare. È noto che la risposta a un trattamento antibiotico, valutabile con gli indici ematici di infezione, i sintomi, la spirometria, etc, può essere buona anche se i batteri sono resistenti all’antibiotico utilizzato. Non esiste una ragione chiara alla base di questa discordanza, ma possiamo ipotizzare che comunque l’antibiotico abbia un effetto sui fattori di virulenza prodotti dai batteri e riduca l’infiammazione polmonare, anche senza modificare sensibilmente la carica batterica (una quantificazione precisa di questa non viene eseguita di routine dai laboratori di microbiologia). Oppure, è possibile che l’antibiotico abbia un effetto battericida su alcuni ceppi più sensibili del batterio o su altri batteri, talvolta non identificabili (gli anaerobi ad esempio) con le comuni indagini microbiologiche sull’espettorato. Quando si considera un batterio, i diversi ceppi (o le diverse “tribù”) che lo compongono possono avere sensibilità diversa agli antibiotici e non sempre si isolano tutti i ceppi e si esegue l’antibiogramma su tutti. Vedremo più avanti che, oltre a un effetto indiretto sull’infiammazione, alcuni antibiotici possono avere anche un effetto antinfiammatorio diretto.
L’ambiente polmonare, alterato dal difetto di funzione della proteina CFTR, non viene modificato dalla terapia antibiotica. I batteri si sono adattati nel tempo a questo ambiente, modificando il proprio funzionamento: hanno perso in parte la loro virulenza ma tendono a persistere in una propria nicchia, denominata biofilm (forma cosiddetta “mucoide”), e diventano meno aggredibili dagli antibiotici. Anche l’infiammazione tende a persistere, seppur meno attiva. Così, terminata la terapia antibiotica, i sintomi tipici della malattia polmonare tendono a ripresentarsi e lentamente ad aumentare, come ha ben registrato chi ci ha posto il quesito. Occorre tener presente che nel trattamento della malattia polmonare è compresa la terapia antibiotica “soppressiva”, eseguita in modo costante per via inalatoria o per via orale o con cicli antibiotici ev periodici, o con una combinazione di questi: essa ha infatti lo scopo di mantenere bassa la densità dei batteri e perciò più spento il circolo vizioso infezione-infiammazione, per evitare nuove esacerbazioni polmonari e/o la ripresa dei sintomi.
Le nostre conoscenze si sono arricchite quando sono state raccolte evidenze che alcuni antibiotici, come l’azitromicina, pur non avendo effetto diretto su Pseudomonas aeruginosa con una attività battericida tale da ridurre la densità del microbo nelle vie aeree, poteva ridurre i suoi fattori di virulenza e l’infiammazione polmonare indotta; ciò poteva avvenire non solo in presenza di Pseudomonas aeruginosa, ma anche in presenza di altri batteri (5-7). Alcuni antibiotici, non solo l’azitromicina, hanno perciò un effetto antinfiammatorio diretto. Occorre ricordare che le diverse sostanze che si liberano nell’infiammazione possono stimolare le ghiandole della sottomucosa a produrre più muco, perciò una diminuzione dell’infiammazione si accompagna a una diminuzione del muco. I trial clinici hanno dimostrato che la somministrazione continuativa di azitromicina poteva stabilizzare i valori della spirometria e i sintomi respiratori, e perciò questo farmaco è diventato una realtà nel trattamento della malattia polmonare (8).
Anche gli antinfiammatori, come l’ibuprofene, hanno dimostrato un effetto di inibizione dell’infiammazione polmonare, con un effetto diretto sul neutrofilo, se somministrati a lungo termine (9). Perciò occorre ribadire che oltre agli antibiotici anche gli antinfiammatori hanno uno spazio importante nella terapia della malattia polmonare. Ci attendiamo che la ricerca identifichi nuove molecole specifiche per contrastare l’infiammazione polmonare nella fibrosi cistica: la ricerca è attiva in questo ambito, ma i processi infiammatori sono complessi ed è difficile identificare il bersaglio verso il quale indirizzare un farmaco. Infine, ci attendiamo che i prossimi studi sui nuovi modulatori della proteina CFTR ne chiariscano l’effetto sui batteri, sull’infiammazione e sulla produzione di muco.
Un’ultima considerazione è d’obbligo: quelli descritti sono fenomeni generali, che si possono ben differenziare in ogni singolo paziente. La malattia polmonare, infatti, è determinata dalle mutazioni del gene CFTR, dai numerosi geni “modificatori”, peculiari di ognuno di noi, e dall’ambiente (fumo attivo e passivo, aderenza alla terapia e ai criteri di prevenzione e controllo delle infezioni, stato socio-economico, struttura del sistema sanitario). E ogni paziente con fibrosi cistica, diverso dall’altro, se impara a conoscersi, sa quale farmaco funziona nel suo caso e così diventa d’aiuto per il medico che lo ha in cura.
* Per una spiegazione completa sui trial clinici e sulle modalità di esecuzione rimandiamo al video: “Il trial clinico cos’è e come si fa” (ndr).
1. Regelmann WE, et al. Reduction of sputum Pseudomonas aeruginosa density by antibiotics improves lung function in cystic fibrosis more than do bronchodilators and chest physiotherapy alone. Am Rev Respir Dis 1990; 141:914-921
2. Jaffar-Bandiee MC, et al. Production of elastase, exotoxin A, and alkaline protease in sputa during pulmonary exacerbation of cystic fibrosis in patients chronically infected by Pseudomonas aeruginosa. J Clin Microbiology 1995; 33:924-929
3. Smith WD, et al. Current and future therapies for Pseudomonas aeruginosa infection in patients with cystic fibrosis. FEMS Microbiol Lett 2017; 364:fnx121
4. Ordonez CL, et al. Inflammatory and microbiologic markers in induced sputum after intravenous antibiotics in cystic fibrosis. Am J Respir Crit Care Med 2003; 168:1471-1475
5. Molinari G, et al. Inhibition of Pseudomonas aeruginosa virulence factors by subinhibitory concentration of azithromycin and other macrolide antibiotics. J Antimicrob Chemother 1993; 31:681-688
6. Ratjen F, et al. Effect of azithromycin on systemic markers of inflammation in patients with cystic fibrosis uninfected with Pseudomonas aeruginosa. Chest 2012; 142:1259-1266
7. Bystrzycka W, et al. Azithromycin and chloramphenicol diminish neutrophil extracellular traps (NETs) release. Int J Mol Sci 2017; 18:2666
8. Southern KW, et al. Macrolide antibiotics for cystic fibrosis. Cochrane Database Syst Rev 2012; 11:CD002203
9. Lands LC, et al. Oral non-steroidal anti-inflammatory drug therapy for lung disease in cystic fibrosis. Cochrane Database SystRev 2019; 9:CD001505