“Bea, hanno trovato la cura per la fibrosi cistica, mi ha detto mamma. Ci siamo abbracciate felici. Aspettavamo questa notizia da tanto e adesso l’incubo era finito, adesso anche sulla fibrosi cistica potevamo scrivere la parola fine: era arrivato il farmaco che mi avrebbe salvato la vita. Oddio ce l’abbiamo fatta. Già mi immaginavo tornare normale, respirare, fare le corse campestri assieme agli altri e non, come mi era successo a scuola, finire stecchita a terra dopo pochi minuti”.
Beatrice, 20 anni, tanta energia addosso nonostante la fibrosi cistica. Subito lei e mamma Patty hanno cominciato a informarsi e non c’è voluto molto tempo per capire che le sue mutazioni non erano tra quelle che il nuovo Kaftrio è in grado di rendere inoffensive.
Hanno parlato con le persone di cui si fidano ed è presto emerso che, su oltre 2.000 mutazioni del gene CFTR conosciute, le sue sono rare, anzi rarissime: per una di queste si conoscono due casi al mondo, una signora e un ragazzo, in Finlandia e negli Stati Uniti. Beatrice è la terza.
Come ti sei sentita?
“Ero affranta, delusa e sì, anche arrabbiata”.
Adesso non lo sei.
“Per versi diversi, mi hanno aiutato mamma e la mia amica di Forlì. Mamma mi ha sempre insegnato a credere nella ricerca, nella sua tenacia, e che anche per la fibrosi cistica ci sarebbe stata una fine. Quando me l’ha ripetuto, in quei brutti momenti, era tranquilla e io le credo”.
Mentre la tua amica cosa ti ha detto?
“Niente. Sono solo stata a guardarla mentre iniziava la cura con il farmaco nuovo. Solo il pensiero che lei adesso sta bene mi ha tranquillizzata. Arriverà la cura anche per me: se la ricerca ha aperto un portone, perché non dovrebbe poi aprire anche la mia porticina?”.
La tua è una questione di fiducia cieca o sei anche il tipo che si informa sui passi della scienza?
“Io sono positiva nei confronti della ricerca ma l’ultimo Seminario della Fondazione mi ha anche dato una ragione in più. Mi ha fatto capire che le mutazioni rare non vengono abbandonate. E quindi nemmeno le persone come me”.
Non tutti malati FC sono così serafici in attesa di una cura per tutti. I social danno un quadro di grande paura, aggressività, vera angoscia di essere lasciati soli.
“Lo so. È lecito. Solo pronunciare la parola malattia rara fa scattare il timore dell’abbandono. Anch’io ero arrabbiata però…”
Però?
“Ho sempre vissuto questa malattia all’interno della Fondazione e questo non mi ha mai fatto sentire sola. Siamo come una famiglia e insieme arriveremo al traguardo. Io non sarò tra i primi ma l’importante è arrivare”.
Il tempo, quello fa paura a chi sta male.
“Siamo esseri umani e sono tante le cose che non riusciamo a fare come vorremmo, nei tempi che diciamo noi. Non abbiamo il teletrasporto e molto altro perché le cose sono complicate: trovare farmaci che correggano tutte le mutazioni FC è complicato. Però sapere che una Fondazione come FFC e esperti di tutto il mondo non stanno con le mani in mano ma continuamente lavorano per trovare soluzioni, questo mi fa sentire fiduciosa. Bisogna credere negli esperti. Se i ricercatori non esistessero, se nessuno li finanziasse, allora sì che mi sentirei sola”.
Sembra che tu non abbia paura di niente, è così?
“I 18 anni li ha sentiti anche la mia malattia. Sono passata da ragazza che nessuno l’avrebbe mai detto, a capire cosa vuol dire sentirsi soffocare, affrontare ricoveri, cicli di antibiotici in vena, la convivenza con una nuova bestiaccia che ha tolto il sorriso anche a mamma”.
Solo un momento di silenzio e poi Beatrice racconta del suo viaggio in Canada, della sua passione per la musica, per il flauto traverso che la aiuta in un allenamento continuo del respiro, del suo tirocinio estivo e ancora dell’Erasmus a Praga, bloccato nel maggio scorso dalla pandemia. “Ero carica e felice di essere stata scelta. Magari nel 2021, io ci spero, forse riuscirò a partire”.
L’intervista a Beatrice è stata pubblicata in anteprima sul Notiziario FFC 57, l’avevi letta? Il nostro periodico è sempre disponibile qui: puoi continuare a supportarlo donando con la causale “Notiziario 57”.
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