Significato e importanza degli studi post-marketing (fase IV)
14 Maggio 2020
Autore: Prof. Giuseppe Magazzù. Già direttore del Centro FC di Messina. Membro del CdA FFC e della Commissione Medica FFC
L’articolo spiega come gli studi clinici condotti nella vita reale dopo l’ingresso in commercio di un nuovo farmaco siano indispensabili per completare le conoscenze su quel farmaco, valutando parametri di esito, più vicini alla percezione del malato, che i trial clinici di fase III avevano ignorato.
Nel 2017 la più quotata rivista scientifica di Medicina pubblicava negli Stati Uniti un articolo (1) che sottolineava l’urgenza di effettuare i cosiddetti studi di fase IV o post marketing riguardanti farmaci che erano stati già messi in commercio dopo approvazione dell’agenzia regolatrice americana nota come Food and Drug Administration (FDA). Da cosa nasceva tale urgenza? Il Parlamento americano e la stessa FDA avevano cercato di rendere più veloce il processo di approvazione dei farmaci per renderli disponibili il prima possibile a persone con malattie che ne necessitavano. Ovviamente i farmaci approvati erano stati già oggetto di studi chiamati Randomized Controlled Trials (RCT) di fase III, cioè studi (trials) nei quali le persone sono suddivise casualmente (randomized) a ricevere, per la metà, il farmaco di cui si vuole verificare l’efficacia e la sicurezza e, per l’altra metà, chiamata gruppo controllo (controlled), un prodotto che non dovrebbe avere alcun effetto, il placebo, o il farmaco che fino al momento dello studio è ritenuto il più efficace. Sulla base dei risultati di questi studi, le agenzie che regolano la commercializzazione del farmaco (FDA in US, EMA in Europa e AIFA in Italia), danno la loro approvazione, ma con implicita condizione che “a breve” i nuovi farmaci vengano sottoposti a studi di Fase IV. Questi studi sono obbligatori per verificare gli effetti a lungo termine del nuovo farmaco, sia in termini di benefici che di effetti avversi, questi ultimi difficilmente evidenziabili nella breve durata dei RCT. Nell’articolo succitato del 2017 (1), gli autori facevano notare che per circa la metà dei farmaci autorizzati gli studi non erano stati effettuati e nell’altra metà i risultati si erano avuti solo dopo diversi anni, anche quando si trattava di estendere gli studi ai bambini o a donne in gravidanza per l’uso dei farmaci approvati. La lentezza dello sviluppo degli studi di Fase IV contrastava con la rapidità dell’approvazione di nuovi farmaci e con l’assoluta mancanza di trasparenza dei processi di autorizzazione della FDA, nonostante questa dovesse e potesse, con una apposita legge, obbligare le industrie a effettuarli.
L’effettuazione degli studi di fase IV per una persona che debba assumere un nuovo farmaco non è solo un aspetto formale ma sostanziale. Di fatto, la necessità di verificare se i risultati di RCT in fase III si possano applicare nella pratica clinica a tutte le persone con la stessa malattia ma con caratteristiche diverse da quelle arruolate nei RCT, era stata sollevata molto tempo fa (2,3) e ripresa poi dalla più importante rivista di medicina europea, Lancet (4). Questa rivista pubblicava una serie di articoli per spiegare ai Medici perché gli studi di fase IV siano fondamentali per colmare la distanza tra quanto succede nei RCT e quanto accade nella vita reale, quando il farmaco inizia a essere prescritto dopo la commercializzazione. Nei RCT i partecipanti allo studio sono altamente selezionati, a volte con una fase preliminare nella quale vengono scelti quelli con maggiore probabilità di avere benefici e minori effetti avversi. I partecipanti che durante lo studio di fase III non rispettino il protocollo vengono esclusi essendo strettamente sorvegliati dai ricercatori. Nella vita reale il contesto nel quale viene assunto il nuovo farmaco, la propria casa, è ben diverso dal Centro di ricerca e i malati a domicilio non è detto che aderiscano alla terapia come sono obbligati a fare i partecipanti allo studio di fase III. Le persone nella vita reale possono avere altri problemi di salute per i quali prendono altri farmaci che interferiscono con il nuovo farmaco, evenienza limitata nei partecipanti agli studi di fase III.
Ci sono, inoltre, altri due aspetti che devono essere tenuti in conto negli studi di Fase III effettuati per avere l’approvazione del farmaco.
Il parametro di esito (outcome), che viene misurato negli studi di fase III per definire il beneficio, non sempre è rilevante e può essere un surrogato. Qualche esempio può meglio far comprendere l’importanza di tale aspetto in varie malattie. Se viene somministrato un farmaco per l’osteoporosi, l’outcome surrogato è la misurazione della densità ossea, laddove il parametro importante dovrebbe essere la riduzione del numero delle fratture. In una persona dopo un infarto del miocardio, nel quale si studi l’effetto di un farmaco anti-aritmico, la misurazione delle alterazioni dell’elettrocardiogramma è un surrogato, laddove dovrebbe essere misurata la riduzione della mortalità. O ancora, in una persona con sclerosi multipla che partecipi a uno studio di fase III, misurare le alterazioni alla risonanza magnetica, dopo assunzione del farmaco in studio, è certamente un outcome surrogato quando è, invece, fondamentale verificare se le disabilità della malattia migliorano. Quest’ultimo esempio mette in evidenza anche un altro aspetto: l’outcome misurato quasi sempre è quello scelto dai ricercatori e non quello che sta a cuore alle persone con malattia.
Per restare nell’ambito della fibrosi cistica (FC), si comprende che quando si sceglie un parametro di outcome, il più spesso utilizzato e utilissimo, la spirometria, è quello che meglio indica il decorso della malattia. Tuttavia, se il miglioramento che risulta dopo uso di un farmaco sta nell’ambito di pochi punti percentuali di FEV1, questo non viene percepito dalla persona con FC, a meno che non vi sia qualche altro parametro associato, ad esempio il numero dei trattamenti antibiotici, le ospedalizzazioni o la qualità di vita che si modificano e che il paziente avrebbe certamente scelto.
Un altro aspetto che deve essere tenuto in considerazione è che ci sono tanti esempi di benefici riscontrati in uno studio di fase III, non confermati negli studi di fase IV (ad esempio, ossigenoterapia ad alte dosi nei neonati, farmaci anti-aritmici dopo infarto del miocardio) o al contrario mancanza di beneficio in fase III e beneficio riscontrato in fase IV (es. farmaci cosiddetti betabloccanti nello scompenso cardiaco).
Infine, se l’importanza degli studi di fase IV o post-marketing rispetto a quelli di fase III è scontata, è fondamentale che questi studi vengano, laddove possibile, progettati ed effettuati da organismi indipendenti dall’Industria: la Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica è un’eccellente candidata a questo scopo.
1) Woloshin S, Schwartz LM, White B, et al. The Fate of FDA Postapproval Studies. N Engl J Med 2017;377:1114-1117 2) Cochrane AL. Effectiveness and Efficiency: random reflections on Health Services. London: Nuffield Provincial Hospitals Trust, 1972 3) Horton R. Common sense and figures: the rhetoric of validity in medicine (Bradford Hill Memorial Lecture 1999). Stat Med 2000;19:3149–64 4) Rothwel External validity of randomised controlled trials: “To whom do the results of this trial apply?” Lancet 2005;365:82–93
Significato e importanza degli studi post-marketing (fase IV)
L’articolo spiega come gli studi clinici condotti nella vita reale dopo l’ingresso in commercio di un nuovo farmaco siano indispensabili per completare le conoscenze su quel farmaco, valutando parametri di esito, più vicini alla percezione del malato, che i trial clinici di fase III avevano ignorato.
Nel 2017 la più quotata rivista scientifica di Medicina pubblicava negli Stati Uniti un articolo (1) che sottolineava l’urgenza di effettuare i cosiddetti studi di fase IV o post marketing riguardanti farmaci che erano stati già messi in commercio dopo approvazione dell’agenzia regolatrice americana nota come Food and Drug Administration (FDA). Da cosa nasceva tale urgenza? Il Parlamento americano e la stessa FDA avevano cercato di rendere più veloce il processo di approvazione dei farmaci per renderli disponibili il prima possibile a persone con malattie che ne necessitavano. Ovviamente i farmaci approvati erano stati già oggetto di studi chiamati Randomized Controlled Trials (RCT) di fase III, cioè studi (trials) nei quali le persone sono suddivise casualmente (randomized) a ricevere, per la metà, il farmaco di cui si vuole verificare l’efficacia e la sicurezza e, per l’altra metà, chiamata gruppo controllo (controlled), un prodotto che non dovrebbe avere alcun effetto, il placebo, o il farmaco che fino al momento dello studio è ritenuto il più efficace. Sulla base dei risultati di questi studi, le agenzie che regolano la commercializzazione del farmaco (FDA in US, EMA in Europa e AIFA in Italia), danno la loro approvazione, ma con implicita condizione che “a breve” i nuovi farmaci vengano sottoposti a studi di Fase IV. Questi studi sono obbligatori per verificare gli effetti a lungo termine del nuovo farmaco, sia in termini di benefici che di effetti avversi, questi ultimi difficilmente evidenziabili nella breve durata dei RCT. Nell’articolo succitato del 2017 (1), gli autori facevano notare che per circa la metà dei farmaci autorizzati gli studi non erano stati effettuati e nell’altra metà i risultati si erano avuti solo dopo diversi anni, anche quando si trattava di estendere gli studi ai bambini o a donne in gravidanza per l’uso dei farmaci approvati. La lentezza dello sviluppo degli studi di Fase IV contrastava con la rapidità dell’approvazione di nuovi farmaci e con l’assoluta mancanza di trasparenza dei processi di autorizzazione della FDA, nonostante questa dovesse e potesse, con una apposita legge, obbligare le industrie a effettuarli.
L’effettuazione degli studi di fase IV per una persona che debba assumere un nuovo farmaco non è solo un aspetto formale ma sostanziale. Di fatto, la necessità di verificare se i risultati di RCT in fase III si possano applicare nella pratica clinica a tutte le persone con la stessa malattia ma con caratteristiche diverse da quelle arruolate nei RCT, era stata sollevata molto tempo fa (2,3) e ripresa poi dalla più importante rivista di medicina europea, Lancet (4). Questa rivista pubblicava una serie di articoli per spiegare ai Medici perché gli studi di fase IV siano fondamentali per colmare la distanza tra quanto succede nei RCT e quanto accade nella vita reale, quando il farmaco inizia a essere prescritto dopo la commercializzazione. Nei RCT i partecipanti allo studio sono altamente selezionati, a volte con una fase preliminare nella quale vengono scelti quelli con maggiore probabilità di avere benefici e minori effetti avversi. I partecipanti che durante lo studio di fase III non rispettino il protocollo vengono esclusi essendo strettamente sorvegliati dai ricercatori. Nella vita reale il contesto nel quale viene assunto il nuovo farmaco, la propria casa, è ben diverso dal Centro di ricerca e i malati a domicilio non è detto che aderiscano alla terapia come sono obbligati a fare i partecipanti allo studio di fase III. Le persone nella vita reale possono avere altri problemi di salute per i quali prendono altri farmaci che interferiscono con il nuovo farmaco, evenienza limitata nei partecipanti agli studi di fase III.
Ci sono, inoltre, altri due aspetti che devono essere tenuti in conto negli studi di Fase III effettuati per avere l’approvazione del farmaco.
Il parametro di esito (outcome), che viene misurato negli studi di fase III per definire il beneficio, non sempre è rilevante e può essere un surrogato. Qualche esempio può meglio far comprendere l’importanza di tale aspetto in varie malattie. Se viene somministrato un farmaco per l’osteoporosi, l’outcome surrogato è la misurazione della densità ossea, laddove il parametro importante dovrebbe essere la riduzione del numero delle fratture. In una persona dopo un infarto del miocardio, nel quale si studi l’effetto di un farmaco anti-aritmico, la misurazione delle alterazioni dell’elettrocardiogramma è un surrogato, laddove dovrebbe essere misurata la riduzione della mortalità. O ancora, in una persona con sclerosi multipla che partecipi a uno studio di fase III, misurare le alterazioni alla risonanza magnetica, dopo assunzione del farmaco in studio, è certamente un outcome surrogato quando è, invece, fondamentale verificare se le disabilità della malattia migliorano. Quest’ultimo esempio mette in evidenza anche un altro aspetto: l’outcome misurato quasi sempre è quello scelto dai ricercatori e non quello che sta a cuore alle persone con malattia.
Per restare nell’ambito della fibrosi cistica (FC), si comprende che quando si sceglie un parametro di outcome, il più spesso utilizzato e utilissimo, la spirometria, è quello che meglio indica il decorso della malattia. Tuttavia, se il miglioramento che risulta dopo uso di un farmaco sta nell’ambito di pochi punti percentuali di FEV1, questo non viene percepito dalla persona con FC, a meno che non vi sia qualche altro parametro associato, ad esempio il numero dei trattamenti antibiotici, le ospedalizzazioni o la qualità di vita che si modificano e che il paziente avrebbe certamente scelto.
Un altro aspetto che deve essere tenuto in considerazione è che ci sono tanti esempi di benefici riscontrati in uno studio di fase III, non confermati negli studi di fase IV (ad esempio, ossigenoterapia ad alte dosi nei neonati, farmaci anti-aritmici dopo infarto del miocardio) o al contrario mancanza di beneficio in fase III e beneficio riscontrato in fase IV (es. farmaci cosiddetti betabloccanti nello scompenso cardiaco).
Infine, se l’importanza degli studi di fase IV o post-marketing rispetto a quelli di fase III è scontata, è fondamentale che questi studi vengano, laddove possibile, progettati ed effettuati da organismi indipendenti dall’Industria: la Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica è un’eccellente candidata a questo scopo.
1) Woloshin S, Schwartz LM, White B, et al. The Fate of FDA Postapproval Studies. N Engl J Med 2017;377:1114-1117
2) Cochrane AL. Effectiveness and Efficiency: random reflections on Health Services. London: Nuffield Provincial Hospitals Trust, 1972
3) Horton R. Common sense and figures: the rhetoric of validity in medicine (Bradford Hill Memorial Lecture 1999). Stat Med 2000;19:3149–64
4) Rothwel External validity of randomised controlled trials: “To whom do the results of this trial apply?” Lancet 2005;365:82–93