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27 Agosto 2007

Volare ad alta quota con la fibrosi cistica

G. Borgo

Estate, tempo di vacanze, tempo di viaggi, anche viaggi in aereo. Può succedere che chi ha la FC si chieda se può prendere l’aereo con tranquillità o se non vi sia necessità di precauzioni speciali. E’ stata pubblicata di recente un’ampia rassegna (1) degli studi di rilievo riguardanti il tema del volo ad alta quota per chi soffre di malattie polmonari. Un particolareggiato capitolo è stato dedicato alla FC. E’ ovvio che chi ha la FC ma è in buone condizioni polmonari, ha una funzionalità respiratoria buona e uno stato di ossigenazione buona non deve porsi problemi. Ma come deve comportarsi chi ha una situazione “intermedia”, con una FEV1 intorno o minore del 50% del predetto?

Ricordiamo che il problema nasce dal fatto che con l’aumentare dell’altitudine la pressione barometrica si riduce progressivamente con conseguente riduzione della pressione parziale di ossigeno (PO2) nell’aria inspirata. Durante i voli di linea si raggiungono e talora si superano i 9000 metri sull’altezza del mare, anche se all’interno delle cabine vien mantenuta una pressione corrispondente in genere ad un’altitudine di circa 2500 sul mare. Ma a queste quote il valore della pressione barometrica è comunque ridotto ed è tale per cui l’aria inspirata ha una PO2 corrispondente a quella che si avrebbe a livello del mare se la concentrazione di O2 fosse il 15% anzichè il 21% come di norma. Se il livello di ossigeno nel sangue è buono, questa variazione non comporta conseguenze, ma se invece è deficitario già in partenza, può comportare una severa ipossiemia. Per risolverla è insufficiente l’ossigeno fornito dalle usuali bocchette installate sopra il sedile nel posto assegnato sull’aereo. Quindi un malato FC che sa di correre questo rischio, deve programmare l’assunzione di ossigeno “supplementare”. Per far questo deve avvisare la compagnia aerea, che è tenuta a fornirlo di un apposto erogatore (tipo “stroller”), purchè la richiesta sia accompagnata da adeguata certificazione medica.

Esistono dei parametri clinici o dei test per prevedere se si corre il rischio di ipossiemia da alta quota? E’ praticato in alcuni centri un test, chiamato test dell’ “ipossia inalatoria”, che consiste nel far inalare in una cabina al malato per 20 minuti una miscela di azoto e ossigeno al 15% , ricreando quindi per breve periodo a terra la situazione in volo (2). E’ considerato a rischio di ipossiemia da alta quota e quindi raccomandato di volare con ossigeno supplementare, il malato che durante il test mostra una PaO2 nel sangue arterioso che scende al di sotto dei 50-55 mmHg (con una saturazione parziale dell’ossiemoglobina-SpO2-inferiore all’85%).

Si ritiene che i risultati di questo test correlino discretamente con quanto avviene nella realtà. Però, per quanto riguarda i malati di FC, c’è da dire che la rassegna degli studi finora eseguiti indica che seppure in condizioni respiratorie non brillanti, essi mostrano di tollerare meglio del previsto l’alta quota e l’ipossiemia che essa induce. Questi studi sono stati condotti analizzando l’andamento dell’ ossigenazione del sangue dei malati collocati in apposite camere “ipobariche”: pochi malati mostrano “disturbi da alta quota”, consistenti in mal di testa, nausea, vomito, sonnolenza (i disturbi più gravi sono l’edema cerebrale e l’edema polmonare). L’ipotesi è che, data la patologia di fondo, essi siano già “acclimatati” a basse condizioni di ossigeno. Chiaramente, più severa è la condizione polmonare FC più alta la probabilità che l’alta quota determini un’ipossiemia grave . Gli studi infatti dimostrano che c’è una importante correlazione fra un modesto livello di FEV1 e la possibilità di ipossiemia da alta quota. Per questo le raccomandazioni degli autori sono quelle di considerare di volare con ossigeno supplementare anche quando al test dell’ipossia inalatoria la PaO2 nel sangue arterioso rimane al di sopra dei 50 mmHg, ma la FEV1 è inferiore al 50% del predetto. Questo soprattutto se il volo è lungo e la permanenza ad alta quota si protrae per parecchie ore. Durante queste ore vanno mantenute le altre abituali terapie (mucolitici, antibiotici) e praticata qualche forma di drenaggio delle secrezioni bronchiali.

1) Luks AM and Swenson ER ” Travel to high altitude with pre-existing lung disease” Eur Respir J 2007; 29:770-792
2) Aiello M “Fibrosi cistica: esistono controindicazioni a volare?” Progressi di Ricerca , 01/09/05