È o non è opportuno che i minori facciano il test per sapere se sono portatori della malattia genetica presente in famiglia? Una ricerca svolta un paio d’anni fa (1), esaminando le linee guida elaborate da associazioni e società scientifiche, suggeriva di non sottoporre i minori al test per lo stato di portatore, tranne in casi eccezionali. Ma scendendo nel concreto e nella pratica di tutti i giorni, i pareri sembrerebbero diversi. Lo dimostra un’inchiesta svolta dagli stessi autori del precedente studio, fra i genetisti di 317 istituzioni sparse in 27 stati dell’Unione Europea (2). I genetisti nella loro attività di consulenza genetica sono direttamente coinvolti nella questione, quindi la loro opinione è importante. Hanno risposto al questionario il 63% di quelli a cui è stato inviato. Hanno un’età media di circa cinquant’anni e nel 47% dei casi sono donne. Il questionario indaga l’opportunità del test per il portatore di varie malattie genetiche, fra cui la fibrosi cistica. Ma non vi sono differenze nelle risposte in relazione al tipo di malattia genetica considerata.
Dalle risposte emerge che i genetisti raccomanderebbero ai genitori di parlare ai figli del rischio di essere portatori intorno ai 15-16 anni d’età; ritengono che intorno a quest’età i figli, pur essendo minori potrebbero chiedere il test genetico e sarebbe giusto che fosse eseguito, naturalmente se i genitori sono d’accordo. La quota dei contrari a questa posizione è minoritaria (complessivamente il 33% del totale di quelli che hanno risposto al questionario).
Le ragioni addotte per suggerire l’età dei 15-16 anni sono abbastanza varie, ma si possono riassumere intorno alla considerazione di alcuni elementi: la maturità cognitiva, maturità emozionale, maturità sessuale; e il supporto da parte dei genitori. È importante accertare se il ragazzo o la ragazza dispongono di queste caratteristiche e non è detto che siano legate al raggiungimento di una precisa età (a 18 anni invece che a 16). Perciò la valutazione e l’aiuto alla decisione andrebbero molto personalizzati.
La maturità cognitiva, dicono, è oggi raggiunta prima che in passato, perché i mezzi d’informazione e la scuola diffondono i temi della genetica. Alla maturità cognitiva si deve accompagnare la maturità emozionale, cioè la capacità di adattarsi all’idea del rischio genetico e comprenderne le implicazioni. Questo sembra essere un punto dove le difficoltà sono maggiori e quindi da valutare attentamente. La maturità sessuale è un criterio importante: sarebbe incoerente negare il test ad un ragazzo o una ragazza che hanno una propria vita sessuale e vogliono conoscere se sono portatori. Riguardo al supporto dei genitori: se essi sono d’accordo con la richiesta del figlio, per la maggior parte dei genetisti non si pone il problema del limite dei 18 anni, perché sono proprio i genitori che dovrebbero conoscere il proprio figlio, aver discusso con lui del problema ed averlo valutato pronto per il test. Anche la presenza di una legislazione che riconosca al ragazzo autonomia di decisioni sui temi della salute e delle cure prima dei 18 anni è importante: questo succede per esempio nella legislazione inglese e infatti i genetisti inglesi sono quelli che ritengono che anche ragazzi di 14 anni potrebbero chiedere il test.
Ma nel complesso il messaggio che la ricerca fornisce, e che ci sentiamo di condividere, è che in un tema come questo è più importante valutare la capacità dell’adolescente di decidere e capire, piuttosto che attenersi rigidamente a un’età soglia uguale per tutti .
1) Borry P et all “Carrier testing in minors: a systematic review of guidelines and position papers” Eur J Hum Genet 2006; 14:133-138
2) Borry P, Stultiens L et all ” Minors and informed consent in carrier testing: a survey of European clinical geneticists” J Med Ethics 2008; 34:370-374