Quella di Phoenix (North American CF Conference, 8-10 ottobre) è stata un’occasione unica per fare il punto su ciò che si sta muovendo nella ricerca mondiale sulla fibrosi cistica a seguito della scoperta di farmaci in grado di agire sul difetto di base della malattia. Naturalmente c’è stato un vasto contributo di studi e proposte basate sui problemi dell’assistenza ai malati e sull’ottimizzazione delle cure oggi disponibili. Il salto della ricerca si è avvertito però in modo netto sulle nuove strategie per curare alla radice la malattia. In questa sede riusciamo a darne solo pochi ed essenziali cenni esemplificativi.
Innanzitutto si sono ottenute conferme sull’efficacia di Kalydeco (ivacaftor), pur con variabilità di esito da caso a caso, nei malati con mutazioni di classe III (mutazioni gating), compresi i bambini piccoli e in qualche misura i pazienti con malattia avanzata. Si sta aprendo la possibilità che altre mutazioni, anche di classe diversa, possano essere suscettibili dell’effetto di questo potenziatore.
La grande sfida aperta è però quella di individuare correttori di nuova generazione per i pazienti con mutazione F508del e forse per altre mutazioni che comportano il difetto di maturazione della proteina e quindi la sua precoce rimozione. Già sono emerse proposte interessanti in merito e si stanno cimentando alcune molecole in studi clinici di fase 1 e 2. Vi sono impegnati diversi gruppi di ricerca e l’industria farmaceutica sta investendo in questa direzione. La stessa compagnia Vertex ha in corso o sta preparando studi clinici con il correttore VX-661 combinato con Kalydeco in pazienti che, accanto alla mutazione F508del, hanno mutazioni di altro tipo e ha già pronti correttori di seconda generazione da testare su pazienti F508del. L’idea che sta maturando è quella che nel giro di qualche anno potremmo avere a disposizione correttori di seconda e terza generazione (recuperano e fanno maturare più efficacemente la proteina CFTR mutata) che, combinati tra loro e con qualche nuovo potenziatore (assicura più lunga apertura del canale CFTR rappresentato dalla proteina salvata), siano più efficacemente determinanti verso la normalizzazione della funzione CFTR.
Un problema cruciale emerso è quello che i malati rispondono in maniera diversa alla combinazione di correttore e potenziatore: è il caso di Orkambi (lumacaftor + ivacaftor), i cui studi clinici hanno rivelato che solo alcuni pazienti rispondono bene con incremento di FEV1, mentre altri rispondono poco o nulla e altri ancora peggiorano. Questo dovremmo attenderci anche per altre combinazioni e c’è un notevole sforzo per spiegare le ragioni di questo diverso comportamento. La conferenza di Phoenix ha soprattutto mostrato grande interesse nella messa a punto di biomarcatori che permettano di prevedere la risposta del paziente ai nuovi farmaci e consentano di monitorarla precocemente nel corso del trattamento: candidati a questa funzione sono soprattutto gli organoidi, piccole strutture cellulari sferiche ricavate da minime biopsie rettali o da cellule prelevate con piccolo raschiamento (brushing) della mucosa nasale o bronchiale. Queste strutture, di cui c’è stata ampia documentazione, sarebbero in grado di misurare nel soggetto che assumerà o assume il farmaco la capacità di quest’ultimo di riportare verso la normalità la funzione alterata del canale CFTR.
Di notevole interesse la proposta, presentata dall’azienda farmaceutica Proteostasis, di un farmaco definito “amplificatore”, che ha la funzione di accelerare (a livello di RNA) la sintesi di proteina CFTR-F508del in modo che i correttori di vecchia o nuova generazione abbiano a disposizione molta più proteina per il suo recupero maturativo e quindi maggiore probabilità di avere proteina funzionante a livello di membrana cellulare.
Stanno trovando spazio nuovi studi per le mutazioni stop (quelle che fanno interrompere la sintesi di proteina CFTR): l’obiettivo è di individuare molecole in grado di occultare il segnale di stop in modo che il codice DNA possa venire recepito per intero, senza stop, dai processi che regolano la produzione della proteina. Finora l’Ataluren è stato il farmaco proposto per tale azione, ma negli studi clinici si è rivelato complessivamente debole, anche se con discreta efficacia nei soggetti che non facevano aerosol con antibiotici aminoglicosidi (competitori con l’Ataluren). È emerso anche un sorprendente contributo mirato a dare spazio alla proteina monca derivata dal segnale di stop. Si è lavorato sulla mutazione W1282X, frequente in alcune popolazioni: il blocco avviene a livello dell’aminoacido 1282 nella catena normalmente costituita da 1480 aminoacidi. Sarebbe stato dimostrato che una proteina con tale dimensione (CFTR1281), modestamente ridotta in grandezza, può funzionare come canale del cloro, basterebbe aiutarla a maturare con correttori e a sollecitarne la funzione con potenziatori. Se questo risultato fosse confermato potrebbe aprire la strada per altre mutazioni stop che consentono la sintesi di una proteina CFTR di sequenza sufficientemente lunga (ad esempio la R1162X, ben rappresentata nel Nordest italiano).
Questo e molto altro ha costituito un messaggio congressuale di notevole prospettiva, nella quale la rete italiana FFC appare già ben inserita, anche con l’interessante riconoscimento al lavoro di ricercatori come Luis Galietta.