La determinazione del livello di anticorpi IgG anti-Pseudomonas nel siero è entrata nell’uso di alcuni centri CF per valutare lo stato di infezione polmonare da parte di questo batterio. Circa l’utilità di un tale test nella pratica clinica, cioè nel decidere se trattare o meno con antibiotici un paziente colonizzato da Pseudomonas, c’è ancora parecchia incertezza. C’è anche il problema che per un tale test sono disponibili diversi metodi, non tutti in commercio, che ancora non sono stati confrontati per la loro capacità di identificare correttamente la situazione infettiva. Va ricordato che la presenza di anticorpi anti-Pseudomonas sta in genere ad indicare che tra il batterio e l’organismo si è stabilito uno stretto conflitto e l’organismo ha già reagito immunologicamente producendo anticorpi specifici verso le componenti del batterio: in altri termini la presenza di anticorpi starebbe ad indicare un vero processo di infezione, mentre la loro assenza, pur in presenza di Pseudomonas nelle vie aeree, testimonierebbe una condizione di semplice “commensalità” e di relativa innocenza di tale presenza. Un corposo studio (1) è stato condotto su 791 pazienti curati presso i centri scandinavi (Danimarca, Norvegia, Svezia) con l’intento di confrontare la qualità diagnostica di tre metodi di saggio degli anticorpi. Ciò che i test dovevano identificare erano tre condizioni: la mancanza di Pseudomonas, la colonizzazione intermittente e l’infezione cronica. I risultati dei test venivano confrontati con le colture batteriche eseguite nei pazienti almeno ogni 3 mesi: “colonizzazione intermittente” era definita la condizione in cui il batterio veniva isolato in meno del 50% dei mesi e “infezione cronica” la condizione in cui le colture erano positive in più del 50% dei mesi. Lo studio è durato circa 2 anni.
I pazienti negativi alla colture batteriche non presentavano in genere anticorpi nel siero; quelli con colonizzazione intermittente avevano in genere assenza o livelli bassi di anticorpi: quelli con infezione cronica avevano livelli molto alti di anticorpi. Con determinazioni ripetute era possibile identificare i pazienti ad alto rischio di infezione cronica allorché i livelli di anticorpi tendevano ad aumentare nel siero. Lo studio in sostanza ha trovato equivalenza tra i tre metodi (di cui uno solo disponibile sul mercato) nell’identificare lo stato infettivo: il valore predittivo per la condizione di infezione cronica (alti livelli di anticorpi), cioè la capacità dei test di predire la condizione di presenza o assenza di infezione cronica, predeterminata in base alle colture ottenute da escreato o da prelievi in rinofaringe, si aggirava per tutti i test tra l’80 e il 90%: un buon valore ma ancora limitato per le decisioni terapeutiche che ne conseguirebero.
Non si coglie peraltro da questo studio se il test degli anticorpi sia effettivamente utile per prendere decisioni terapeutiche. Sembrerebbe che, in caso di isolamento assai ripetuto di Pseudomonas, se gli anticorpi sono elevati questo solleciterebbe un regime di trattamento continuativo, perché segno di infezione cronica, anche in assenza di sintomi. In caso di isolamento intermittente di Pseudomonas il livello di anticorpi, se alto, imporrebbe un regime simile a quello dell’infezione cronica; se basso o assente, potrebbe consentire di incominciare con tentativi di eradicazione. Il problema che probabilmente questi tests non risolvono può essere il caso dei soggetti (in genere bambini piccoli che non espettorano) in cui le colture sono negative ma vi è una certa presenza di anticorpi anti-Pseudomonas: sarà questo sufficiente per instaurare una terapia antibiotica di eradicazione? In conclusione ci pare che questo test non possa sostituire le colture batteriche ma eventualmente le possa affiancare per perfezionare il ragionamento clinico e approfondire eventualmente le indagini batteriologice (anche con broncoscopia se del caso).
Pressler T, et al. Diagnostic significance of measurements of specific IgG antibodies to Pseudomonas aeruginosa by three different serological methods. J Cyst Fibros 2009;8:37-42