Oggi sappiamo che alcune mutazioni del gene CFTR, che concorrono a formare particolari genotipi, possono determinare una malattia complessivamente più lieve (non solo per quanto riguarda il pancreas, ma anche per quanto riguarda la situazione polmonare). Sappiamo questo perché è stato visto che le mutazioni del gene CFTR provocano alterazioni diverse sulla proteina CFTR e da queste alterazioni dipendono in buona parte i sintomi della malattia. E sappiamo che i sintomi della malattia sono in genere più gravi se la proteina CFTR è alterata in modo importante o è assente, come succede in presenza di mutazioni classificate come appartenenti alle classi I, II, III; sono più lievi se è prodotta una quota anche minima di proteina CFTR normalmente funzionante (basta un 5% della quota normalmente presente), come succede con le mutazioni classificate come di classe IV e V (1). Queste osservazioni hanno una certa validità generale, ma difficilmente si confermano in ogni singolo caso, perché si è visto anche che esiste un’ampia variabilità individuale (2), per cui soggetti con genotipo composto da mutazioni teoricamente sfavorevoli possono avere sintomi modesti di malattia e anche soggetti con mutazioni favorevoli possono talora presentare sintomi importanti. Non tutte le mutazioni sono state attualmente “classificate”, anzi lo sono in piccola parte rispetto alla loro numerosità: occorrono infatti prove sofisticate per misurare la quantità e l’attività della proteina prodotta e quindi attribuire una mutazione ad una certa classe. In questo importante lavoro americano (3) sono stati inclusi tutti i malati FC inseriti nel Registro Americano nel periodo 1993-2003 che avessero mutazioni conosciute e “caratterizzate funzionalmente”, vale a dire attribuite ad una certa classe. Si tratta di 15.651 soggetti, che sono stati distinti in due gruppi.
Il primo gruppo era composto dai casi con genotipo “severo”, in cui entrambe le mutazioni erano di classe I, II, III (questo genotipo è stato chiamato ad “alto rischio”, in quanto capace di determinare sintomi gravi e tali da mettere a rischio la vita con il passare del tempo ); questi malati sono risultati essere il 91% del totale. Il secondo gruppo era costituito da quelli con genotipo “lieve” o “a basso rischio”, in cui almeno una mutazione apparteneva alla classe IV o V: essi erano 1.126 (corrispondenti al 7% del totale ). Le mutazioni classificate come di classe IV e V erano le seguenti: R117H, R334W, R347P, 3849+10KbC->T, 2789+5G->A, A455E. Scopo della ricerca è stato quello di studiare l’andamento della malattia e la mortalità dei malati a seconda del genotipo (ad alto o basso rischio), e in base a questi dati stabilire se il genotipo può predire l’evoluzione della malattia.
L’osservazione dei dati clinici (funzionalità respiratoria, stato nutrizionale, stato pancreatico, presenza di Pseudomonas) ha avuto una durata (valore mediano) di circa 8.6 anni per quelli con genotipo ad alto rischio e di 5.1 anni per quelli a basso rischio; al momento dell’inclusione nel registro i malati con genotipo ad alto rischio avevano un’età media di circa 10 anni e un valore medio di FEV1 pari a 72% del predetto, quelli con genotipo a basso rischio avevano età media di 19 anni e valore medio di FEV1 di 73%. Maschi e femmine erano ugualmente rappresentati sia nel gruppo ad alto rischio che nel gruppo a basso rischio.
I risultati della ricerca sono stati che, nell’arco di tempo dell’osservazione, sul totale di 15.651 malati ne sono morti 1672 (10.6%) ; e quelli con genotipo ad alto rischio hanno mostrato di avere un rischio di morte circa doppio rispetto agli altri. Per il gruppo ad alto rischio l’età mediana dei soggetti che sono morti (ricordiamo che la mediana è quella misura statistica tale per cui il 50% dei soggetti in esame presenta un valore al di sotto di essa e il 50% al di sopra) è stata di 24 anni e quelli in vita presentavano una mediana della durata della vita di 36,3 anni. Per il gruppo a basso rischio l’età mediana dei soggetti che sono morti è stata di 37 anni e per quelli in vita la mediana della durata della vita è risultata 50 anni.
Poiché i dati stavano ad indicare una forte associazione fra la durata della vita e il genotipo, i ricercatori sono passati ad indagare il secondo obbiettivo della ricerca e cioè vedere se in base al genotipo potevano essere fatte previsioni sull’evoluzione della malattia e sulla durata della vita e quanto queste previsioni, costruite attraverso calcoli matematici (calcolo della specificità e sensibilità della predizione e del potere predittivo positivo e negativo), potevano essere giuste o sbagliate. Qui i calcoli hanno dimostrato che nella generalità dei soggetti previsioni in base al genotipo CFTR non si possono fare, perché sbagliano troppo; e la possibilità di sbagliare è risultata essere in relazione alla soglia di età per la quale si vorrebbero fare previsioni. In base al genotipo, nella vastissima popolazione di malati di questa ricerca non si sarebbe potuto prevedere con un grado accettabile di accuratezza chi avrebbe vissuto meno di 24 anni o più di 40 anni; una qualche previsione si sarebbe potuta fare per la soglia dei trent’anni, ma con ancora assai ampi margini di errore (in oltre il 30 % dei casi ). Quindi, oltre al genotipo CFTR nel determinare l’evoluzione della malattia concorrono altri fattori, genetici e non genetici, oggi in parte conosciuti, in parte ancora da scoprire (4).
1) McKone E et all “Effect of genotype on phenotype and mortality in cystic fibrosis: a retrospective cohort study” Lancet 2003; 361:1671-76 ,
2) Mickel JE, Cutting GR “Genotype-phenotype relationships in cystic fibrosis”Med Clin North Am 2000; 84:597-607
3) McKone E ,Goss C, Aitken M “CFTR Genotype as a predictor of prognosis in cystic fibrosis”, Chest 2006;130:1441-1447
4) Knowles MR “Gene modifiers of lung disease” Curr Opin Pulm med 2006;12(6):416-421