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1 Settembre 2005

Fibrosi cistica: esistono controindicazioni a volare?

01/09/2005

È noto che con l’aumentare dell’altitudine la pressione barometrica si riduce progressivamente ed in modo significativo, con conseguente riduzione della pressione parziale di ossigeno (PO2) nell’aria inspirata. Durante i voli di linea si raggiungono e talora si superano i 9.000 metri slm, anche se all’interno delle cabine viene mantenuta una pressione corrispondente in genere ad un’altitudine di circa 2500 metri slm. A queste quote il valore della pressione barometrica è comunque ridotto ed è tale per cui l’aria inspirata ha una PO2 corrispondente a quella che si avrebbe al livello del mare se la concentrazione di O2 fosse il 15% anziché il 21%, come di norma. Per un soggetto sano il respirare aria con una percentuale di O2 del 15% anziché del 21% determina una riduzione della pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso (PaO2) che può variare tra i 53 ed i 64 mm Hg (nel soggetto sano, al livello del mare, è in genere superiore ai 100 mmHg), con una saturazione dell’ossiemoglobia (SpO2) compresa tra l’85% ed il 91% (normalmente, al livello del mare, è superiore al 96-97%). Questa condizione è ben tollerata dai soggetti sani, mentre può causare severe ipossiemie (abbassamento critico del livello di O2) in pazienti con patologie polmonari che possono scendere a pressioni arteriose di O2 inferiori a 50 mmHg. Le linee-guida anglosassoni raccomandano di assicurare una pressione di O2 nel sangue superiore a 50 mmHg (con saturazione di O2 maggiore di 85%) nei pazienti affetti da broncopneumopatie ostruttive durante i viaggi aerei (1). Per questo motivo , nei pazienti con tali patologie è richiesto l’utilizzo di ossigeno durante i viaggi aerei qualora essi presentino abitualmente una PaO2 inferiore a 70 mmHg ( SpO2 < 92 %).

Questo tipo di raccomandazione potrebbe non essere strettamente applicabile ai pazienti con Fibrosi Cistica, che possono invece tollerare bassi valori di PO2 per diverse ore senza manifestare alcun sintomo clinico. Ma come si fa a conoscere nel caso singolo qual è il rischio di ipossiemia nel volo?

Un recente studio tedesco(2) ha voluto verificare l’attitudine di pazienti adulti FC ad affrontare condizioni di bassa pressione atmosferica simili a quelle che si hanno nei voli aerei ad alta quota di lunga durata. A tale scopo hanno scelto di portare 36 pazienti FC adulti in montagna ad una quota di 2650 metri. Sono stati scelti pazienti con una situazione polmonare non grave (dovevano avere una PaO2 di base superiore a 60 mmHg (con saturazione maggiore di 88 %). La caduta di pressione di O2 nel sangue è stata notevole in tutti i pazienti: in media si è passati da una PaO2 di 74 mmHg, misurata a bassa quota (in un laboratorio di Monaco di Baviera), ad una PaO2 di 50 mmHg dopo 7 ore di permanenza in montagna. Ciononostante, solo un paziente mostrò evidenti sintomi (dispnea, tachicardia). Tuttavia un test da sforzo di pochi minuti dimostrò un significativo e critico calo ulteriore di pressione d’ossigeno nel sangue in due terzi dei pazienti. Un effetto del tutto comparabile a quello dell’altitudine fu ottenuto facendo inalare ai pazienti in ambiente di bassa quota (Monaco) una miscela di ossigeno ed azoto con una concentrazione di O2 al 15% (che dà una pressione parziale di O2 simile a quella che si ha a 2500 metri di altitudine). Tuttavia non fu trovata una stretta correlazione nei casi singoli tra il test di “ipossia inalatoria” e quello di altitudine.

Inoltre si è visto che le più forti riduzioni di PaO2 si hanno nei soggetti con maggiore ostruzione bronchiale (più bassa FEV1 alla spirometria). Bisogna peraltro osservare che questo studio non ha preso in considerazione pazienti con condizioni di ossigenazione arteriosa molto basse (sotto i 60 mmHg), per i quali presumibilmente la depressione da altitudine avrebbe prodotto effetti ben più rilevanti e probabilmente rischiosi.

Gli autori concludono che il paziente FC con una cronica riduzione di PaO2, dovuta alla sua complessa broncopneumopatia, può tollerare discretamente le alte quote e i bassi livelli di pressione barometrica che si incontrano nelle cabine degli aerei, pur con grande variabilità da caso a caso.. Osservano tuttavia che non vi è un test sicuro per predire nel caso singolo il bisogno di un supplemento di ossigeno nei voli aerei di lunga durata. E’ necessario nel singolo caso valutare la situazione clinica e respiratoria nel suo complesso, analizzando sia i dati spirometrici e gasanalitici di partenza sia eventualmente la risposta della pressione arteriosa di ossigeno e della saturazione con ossimetro dopo inalazione per 20 minuti di una miscela di O2 ed azoto con il 15% di O2. In linea di massima, un soggetto è considerato a rischio di ipossiemia da volo e quindi necessita di ossigenoterapia, se durante il test la PaO2 scende sotto i 50 mmHg (SpO2 < 85 %) (1,3)

(1) BTS Standards of Care Committeee. Managing passengers with respiratory disease planning air travel: British Thoracic Society recommendations. Thorax 2002; 57: 289-304.

(2) Fischer R, et al. Lung function in adults with cystic fibrosis at altitude: impact on air travel. Eur Resp J 2005;25:718-724

(3) A. Chetta et al. Il test di idonietà al volo aereo. European Respiratory News 2002; 4: 237-240

Dott. Marina Aiello

Pneumologo – Centro Fibrosi Cistica, Parma