Nell’ agosto 2012 la Corte Europea dei Diritti Umani (Strasburgo) aveva definito “incoerente” e “tale da violare il diritto alla vita privata e familiare” la Legge 40, che regola in Italia la materia della procreazione medicalmente assistita (PMA) . Aveva così accolto la protesta di una coppia di portatori sani di fibrosi cistica che si erano mossi in Italia per poter accedere alla riproduzione assistita e alla diagnosi genetica di FC sugli embrioni, e in base alla Legge 40 avevano avuto respinta dai sanitari la loro richiesta. Secondo la legge italiana infatti solo i soggetti infertili possono accedere alla PMA (mentre i portatori di FC sono fertili) e non è possibile eseguire sugli embrioni la diagnosi di malattie genetiche gravi, così da trasferire nell’utero materno solo quelli sani. Nel novembre 2012 il governo italiano aveva presentato ricorso contro la sentenza della Corte, appellandosi alla sovranità della propria legge sul territorio nazionale. E’ recentissima (11 febbraio u.s.) la notizia che la Suprema Corte di Strasburgo ha respinto il ricorso: col nuovo no dei giudici europei la legge italiana dovrebbe adeguarsi alla carta europea e prevedere l’accesso alla PMA a tutte le coppie fertili che possono trasmettere malattie genetiche gravi ai loro figli; e che fino ad oggi erano escluse dalle tecniche e dall’assistenza a meno di non appellarsi ogni volta ai tribunali. La Fondazione per la Ricerca Fibrosi Cistica si augura che sia colta l’occasione per rivedere complessivamente la Legge 40, i cui limiti anche in passato aveva sottolineato; e che questo percorso sia compiuto unendo da un lato il rispetto delle opinioni di tutti i cittadini e dall’altro la possibilità di applicazione dei notevoli avanzamenti scientifici ottenuti in questo campo.