Alla notizia da parte di Vertex del nuovo farmaco con due correttori e un potenziatore, che dovrebbe essere approvato, mi sono rallegrato del fatto che interessava anche la F508 eterozigote composto con una mutazione con funzione minima o residua. Il mio dubbio è appunto se la mutazione 4015delA di prima classe rientra tra queste oppure no.
La domanda si riferisce allo studio di fase 3 in cui viene sperimentato il composto VX-659 (correttore di seconda generazione) in associazione con VX-661, correttore di prima generazione chiamato Tezacaftor, e con il potenziatore Ivacaftor (1). Lo studio, che sta ingaggiando pazienti a partire dai 12 anni con una copia di F508del e una mutazione con funzione minima, è sponsorizzato da Vertex Pharmaceuticals e finanziato dalla Fondazione FC americana. Proprio nel sito della CFF le informazioni sullo studio sono accompagnate da una lunga lista di mutazioni alle quali è assegnata la definizione di mutazioni con funzione minima. In questa lista non è inclusa la mutazione 4015delA. La mutazione 4015delA è una mutazione rara di cui abbiamo trovato notizie nel database CFTR2.org. Qui viene detta mutazione che porta alla produzione di una proteina CFTR poco o per niente funzionante, quindi probabilmente con funzione minima; non viene peraltro citato l’esperimento o test biologico che supporta questa definizione (come invece fa per altre mutazioni lo stesso database).
Questo particolare, ma soprattutto la lunga lista pubblicata da CFF in allegato allo studio di cui sopra ci spingono a dire che c’è un problema generale nei riguardi della definizione di mutazione con funzione minima. Ad oggi non è chiaro e condiviso in ambito scientifico con quale test biologico o sulla scorta di quali dati una mutazione debba essere definita avere funzione minima e alcuni aspetti andranno chiariti in breve tempo, per non creare eccessive attese, utili alla rapida immissione sul mercato del nuovo farmaco, ma non alla raccolta di evidenze scientifiche.
C’è anche un altro concetto da chiarire: le mutazioni con funzione minima non sono quelle con funzione residua (2). Quelle con funzione residua avrebbero come caratteristica la produzione di un proteina CFTR che, seppure in misura variabile, arriva sulla membrana cellulare e si accompagnano a segni clinici di un certo suo funzionamento (quali sufficienza pancreatica, livelli di cloro nel sudore oltre la soglia di normalità ma non elevatissimi, benignità di quadro polmonare). In questo gruppo sono incluse mutazioni appartenenti a varie classi, quindi con diverso meccanismo d’azione, presenti in soggetti con quadri clinici anche molto diversi. Questa genericità è indicativa di conoscenze ancora incomplete. È probabile che la funzionalità residua sia legata a un complesso di fattori, più che alla singola mutazione e rappresenti la somma di un particolare assetto individuale.
Proprio per la limitata fondatezza di entrambe le definizioni (“minima” e “residua”) e per altre ragioni, oggi la ricerca è sempre più orientata a individuare la modalità di saggiare un nuovo farmaco o combinazioni di farmaci su modelli cellulari derivati dallo stesso soggetto da trattare, utili a prevedere la risposta clinica individuale a quel trattamento. Si legga e si veda a questo riguardo l’intervento del dott. Galietta al XVI Seminario di Primavera FFC (3, 4, 5).
1) clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT03447249
2) Il difficile compito di stabilire quando un soggetto FC con mutazione a funzione CFTR residua possa giovarsi di ivacaftor, stante la grande variabilità di risposta di queste mutazioni, 16/05/2017
3) Brochure-XVI-Seminario-di-Primavera.pdf
4) youtube.com/watch?time_continue=28&v=p01-_iyH-DE
5) Entusiasmo e grande partecipazione al Raduno FFC 2018, 21/05/2018