A mio figlio di 22 anni è stata scoperta la fibrosi cistica due anni fa, dopo una polmonite recidiva che ha reso necessario un ricovero ospedaliero. Mentre veniva confermata la diagnosi a seguito dell’analisi genetica, l’infezione polmonare si è subito dimostrata di difficile eradicazione, e in breve tempo si è cronicizzata. Fino ad oggi il batterio responsabile dell’infezione cronica è lo Stafilococco aureo, con apparizioni finora sporadiche di altri batteri più invasivi. Il trattamento antibiotico è stato pressochè costante, con piccoli intervalli. Purtroppo, le diverse classi di antibiotici via via utilizzati, anche quelli di ultima generazione, si sono dimostrate scarsamente efficaci, e i ceppi batterici hanno acquisito resistenza a diversi di essi.
Nella ricerca di terapie alternative in grado di coadiuvare la terapia antibiotica, se non di eradicare l’infezione, mi sono imbattuto in una terapia sconosciuta o ignorata dalla nostra medicina (e a quanto pare anche dalla ricerca), ma che risulterebbe essere stata adottata con efficacia per lungo tempo in paesi dell’ex Unione Sovietica, e che fa ricorso ai fagi. Questi microorganismi avrebbero la proprietà di essere antagonisti naturali dei batteri, e sarebbero stati utilizzati efficacemente per decenni verso un’ ampia gamma di batteri resistenti ( tra questi anche lo Stafilococco aureo multiresistente – MRSA ) in diverse infezioni a carico di diversi organi. Oggi, il centro di ricerca e terapia più attivo è a Tiblisi in Georgia. E’ di un paio di anni fa la notizia che questo Centro avrebbe creato una partnership con una azienda farmaceutica americana e con uno staff medico per aprire un centro di cura fuori dai confini USA (per evitare le procedure della FDA, che sarebbero incompatibili con le modalità di produzione in laboratorio di nuovi fagi ).
Continuando la mia ricerca su internet, ho verifica che anche in Europa esiste un Istituto di Immunobiologia (Istituto Hirszfeld di Wroclaw in Polonia), accreditato di tutti i riconoscimenti ufficiali, che effettua terapie con i fagi e che ha documentato in un dossier i risultati ottenuti in oltre un decennio. Questo studio riporta oltre mille casi di applicazione dei fagi alle più svariate infezioni resistenti, e dichiara percentuali molto elevate di successo. Tra questi anche MRSA sarebbe nella maggior parte dei casi sensibile ai fagi. Poiché nell’ambiente medico non ho trovato riscontri, mi sono spinto fino a prendere contatto con i responsabili del centro di Wroclaw, che hanno dichiarato la possibilità di ottenere buoni risultati nell’infezione cronica da MRSA anche nei casi di fibrosi cistica.
A questo punto mi sono consultato con la Responsabile del Centro Fibrosi Cistica di Cesena, dove mio figlio è seguito, che si è dichiarata disponibile ad approfondire il tema, di cui aveva già conoscenza ma non certezze conclusive, e mi ha consigliato di sottoporre anche un quesito alla Fondazione, cosa che ho provato a fare con questa lettera.
Mi scuso per la lunghezza e per le imprecisioni tecniche e mi auguro che la vostra preziosa competenza possa fornire lumi sullo stato della ricerca e delle applicazioni terapeutiche anche sperimentali in corso con i fagi, e sul perché questo tema sia confinato in un ambito marginale e se possa avere utilità nelle affezioni polmonari della fibrosi cistica.
Nel ringraziarvi per l’attenzione e il vostro prezioso impegno, invio cordiali saluti
La terapia con batteriofagi (virus che infettano e uccidono selettivamente le cellule batteriche) nasce con la loro scoperta circa 100 anni fa. L’interesse verso questa terapia ha conosciuto fasi alterne e si è riacceso recentemente a causa dell’emergenza, su scala mondiale, di un numero sempre maggiore di batteri resistenti alle terapie antibiotiche (1). Questi particolari virus sono stati usati in molti studi clinici dal 1920 al 1950 negli stati dell’ex Unione Sovietica (2,3,4).
Tali studi sono stati condizionati da molti fattori che hanno determinato spesso il loro insuccesso. Tali fattori riguardavano in particolare:
– Limitazioni dovute alla fisiologia del batteriofago (azione solo su determinate specie batteriche, rapida eliminazione da parte dell’organismo umano).
– Limitazioni dovute ad inadeguate tecniche di approccio scientifico: tali studi non avevano infatti un gruppo di controllo di pazienti trattati con placebo, non venivano rimosse le tossine potenzialmente presenti nei preparati contenenti i fagi destinati alla somministrazione, e non veniva controllata la vitalità dei fagi dopo i trattamenti necessari a garantire la sterilità della preparazione (2,4).
Negli ultimi anni, sono stati condotti studi più rigorosi su modelli animali che hanno dimostrato che il trattamento con fagi è in grado di liberare gli animali da molte infezioni batteriche fatali (5,6)
Un’altra possibile applicazione della terapia con fagi deriva dallo studio di sostanze prodotte da questi virus che interferiscono con funzioni vitali della cellula batterica: inibiscono la duplicazione del DNA e impediscono la crescita batterica (7). Molte di tali sostanze vengono attualmente screenate per valutare il loro potenziale antibatterico. Un esempio di questi composti è costituito dalla famiglia delle endolisine (8). Studi recenti hanno dimostrato la loro attività nella prevenzione e nel trattamento di molte infezioni batteriche, in particolare dovute prevalentemente a batteri gram-positivi (quali Stafilococco aureo e Pneumococco).
Potenziali controindicazioni all’uso di tali sostanze sono:
– La loro capacità di stimolare la risposta immunitaria dell’ospite con conseguente cessazione dell’attività antibatterica.
– L’attività enzimatica che molti di questi composti possiedono può danneggiare i tessuti del paziente trattato.
– L’attività di queste sostanze causa la rottura della cellula batterica con conseguente liberazione di sostanze ad attività endotossica e proinfiammatoria.
Anche questa seconda opzione terapeutica necessita quindi di ulteriori studi clinici rigorosi, la maggior parte delle pubblicazioni si fermano infatti allo stadio pre-clinico (8).
Un ulteriore quesito sul potenziale uso della terapia fagica (sia con le particelle virali vitali o con sostanze da esse derivate) è rappresentato dalla peculiarità delle infezioni batteriche in fibrosi cistica. E’ noto infatti che la maggior parte dei patogeni polmonari che colonizzano il polmone FC (sia gram+ che gram-) sono caratterizzati dalla crescita in una speciale matrice mucoide extracellulare (detta biofilm) che li avvolge e li protegge dalla risposta anticorpale dell’organismo e dall’azione degli antibiotici. Sarà in grado la terapia fagica di superare questa barriera per arrivare ad agire efficacemente sulle cellule batteriche? Attualmente non vi sono studi che valutino l’efficacia di tale terapia su batteri che crescono in biofilm.
In conclusione gli studi attualmente a disposzione non sembrano sufficienti a consentire l’introduzione della terapia fagica nella pratica clinica, tuttavia le premesse ed il gran numero di studi attualmente in atto lasciano sperare che tale terapia possa rappresentare una reale alternativa al trattamento antibiotico tradizionale in un futuro non lontano (2).
1) Inail JM. Phage therapy: a reappraisal of bacteriophages as antibiotics. Arch Immunol Ther Exp. 2003; 51: 2376-44.
2) Carlton RM. Phage therapy: past history and future prospects. Arch Immunol Ther Exp. 1999; 47: 267-74
3) Summers WC. Bacteriophage therapy. Annu Rev Microbiol. 2001; 55, 437-51.
4) Hanlon GW. Bacteriophages: an appraisal of their role in the treatment of bacterial infections. Int J Antimicrob Agent. 2007, In Press.
5) McVay CS et al. Phage therapy of Pseudomonas aeruginosa infection in a mouse wound model. 2007, 51: 1934-8
6) Capparelli R et al. Experimental phage therapy against Staphylococcus aureus in mice. Antimicrob Agents chemother. 2007. In press.
7) Liu J et al. Antimicrobial drug discovery through bacteriophage genomics.
Nat Biotechnol 2004; 22: 185-91
8) Borysowski J, Weber-dabroska B, Gòrski A. Bacteriophage endolysins as a novel class of antibacterial agents. Pol Arch Med Ween. 2005, 113: 73-8