Autore: Dr Luis Galietta, Direttore Laboratorio di Genetica Molecolare dell'Istituto G. Gaslini, Genova
Le conoscenze crescenti sui meccanismi molecolari e cellulari alla base della fibrosi cistica rendono possibile l’identificazione e lo sviluppo di farmaci che possono correggere il difetto di base. In vari laboratori di ricerca si stanno valutando composti chimici in grado di agire sul difetto della proteina CFTR a vari livelli: favorendone la sintesi, la maturazione o l’attività nella membrana plasmatica. Tuttavia, l’identificazione di una molecola che si dimostri attiva negli esperimenti di laboratorio è solo il primo passo nello sviluppo di un nuovo farmaco. Questo è un processo lungo e irto di difficoltà, che richiede mediamente dai 10 ai 12 anni, dai primi studi in vitro fino all’approvazione finale del farmaco.
Il primo stadio riguarda l’identificazione di composti chimici attivi. La strategia che è spesso utilizzata a questo scopo dall’industria farmaceutica è l’analisi su vasta scala di decine o centinaia di migliaia di composti chimici, il cui effetto “terapeutico” viene valutato su cellule in coltura. Generalmente, lo screening primario porta all’identificazione di poche decine di composti attivi che vengono successivamente passati ad una fase secondaria in cui l’attività di ogni singolo composto deve essere valutata con vari tipi di studi in vitro. Lo scopo è la conferma dell’effetto correttivo e la possibile comprensione del meccanismo d’azione. La scelta dei composti migliori tiene conto dell’efficacia e della specificità d’azione. Una scrematura ulteriore dei composti si basa anche su criteri di chimica farmaceutica: assenza di gruppi potenzialmente tossici, proprietà chimico-fisiche favorevoli per la somministrazione in vivo, possibilità di modifiche delle struttura chimica di base per la produzione di composti migliori. Quest’ultima caratteristica è particolarmente importante per lo stadio successivo in cui i composti più promettenti vengono “ottimizzati”. Si procede infatti a una modifica della struttura chimica per generare composti analoghi con alta affinità, cioè in grado di riconoscere selettivamente il bersaglio desiderato (la proteina CFTR nel caso della fibrosi cistica). L’aumento dell’affinità di un composto permette di migliorarne la specificità e di ridurre la possibilità di effetti indesiderati. La prima fase descritta finora (identificazione – valutazione – ottimizzazione) richiede in media dai 3 ai 5 anni. In caso di successo, questa fase genera uno o più farmaci sperimentali che vengono quindi valutati in studi preclinici che possono durare dai 2 ai 3 anni.
Nella fase preclinica vengono effettuate delle prove in vitro e su modelli animali per determinare la stabilità di un composto all’interno di un organismo vivente, l’eventuale tossicità e l’efficacia. Questi studi permettono di identificare le dosi e le condizioni migliori per la somministrazione di un farmaco in grado da garantirne la permanenza all’interno del corpo a concentrazioni ottimali. La fase preclinica serve anche per produrre tutta una serie di dati che sono richiesti dagli enti pubblici di controllo per approvare la sperimentazione di una nuova sostanza sull’uomo. Infatti, la fase successiva dello sviluppo di un farmaco è la sperimentazione clinica che può iniziare solo dopo che siano stati soddisfatti tutti i criteri stabiliti per legge perché un nuovo composto venga provato su esseri umani.
La sperimentazione clinica è classicamente suddivisa in tre fasi.
La fase I viene effettuata su un numero ristretto di individui (poche decine) ed è rivolta solo alla dimostrazione della tollerabilità e sicurezza del farmaco sperimentale e non dell’efficacia terapeutica. Questo punto viene invece valutato nella sperimentazione clinica di fase II. A questo livello si effettuano studi su un numero maggiore di pazienti (100-300). I pazienti vengono normalmente divisi in due gruppi, uno solo dei quali trattato con il farmaco sperimentale e l’altro con placebo. E’ proprio a livello degli studi di fase II dove spesso un farmaco può fallire, o perché si rivela scarsamente efficace oppure perché mostra inaspettatamente proprietà tossiche. Se gli studi di fase II producono risultati positivi si procede alla fase III in cui si esamina un gruppo di soggetti molto maggiore (1000-3000) per confermare definitivamente l’efficacia e l’eventuale superiorità rispetto a trattamenti terapeutici già in uso. Gli studi di fase III sono ovviamente quelli più difficili e dispendiosi e richiedono il coinvolgimento coordinato di diversi centri clinici. Se coronati da successo, i risultati degli studi di fase III vengono combinati con tutte le altre informazioni relative al nuovo farmaco per ottenere l’approvazione definitiva da parte di organismi di controllo quali la FDA americana o l’EMEA europea.
In definitiva, lo sviluppo di un nuovo farmaco richiede una lunga serie di fasi che coinvolgono un notevole dispendio di risorse umane e finanziarie. Contrariamente a quella che può essere l’opinione comune, i costi maggiori non riguardano la ricerca di laboratorio iniziale ma la fase successiva di sperimentazione clinica. Il costo per lo sviluppo di un nuovo farmaco (che è stato stimato sui 500 milioni di dollari da parte delle industrie farmaceutiche) può essere particolarmente proibitivo per le malattie genetiche, considerate dalle industrie farmaceutiche un settore più rischioso e meno remunerativo rispetto a malattie molto più diffuse. Tuttavia bisogna considerare che sono state approntate varie misure negli USA e in Europa per aiutare lo sviluppo dei cosiddetti “farmaci orfani” (orphan drugs), cioè farmaci per malattie relativamente rare. Tali misure comprendono esenzioni fiscali, finanziamenti pubblici, particolari condizioni favorevoli per lo sfruttamento del brevetto e semplificazione delle procedure di controllo e approvazione. Queste particolari misure possono effettivamente attrarre l’interesse e favorire il coinvolgimento di industrie farmaceutiche nello sviluppo di un farmaco per una malattia genetica quale la fibrosi cistica.
Lo sviluppo di un nuovo farmaco
Le conoscenze crescenti sui meccanismi molecolari e cellulari alla base della fibrosi cistica rendono possibile l’identificazione e lo sviluppo di farmaci che possono correggere il difetto di base. In vari laboratori di ricerca si stanno valutando composti chimici in grado di agire sul difetto della proteina CFTR a vari livelli: favorendone la sintesi, la maturazione o l’attività nella membrana plasmatica. Tuttavia, l’identificazione di una molecola che si dimostri attiva negli esperimenti di laboratorio è solo il primo passo nello sviluppo di un nuovo farmaco. Questo è un processo lungo e irto di difficoltà, che richiede mediamente dai 10 ai 12 anni, dai primi studi in vitro fino all’approvazione finale del farmaco.
Il primo stadio riguarda l’identificazione di composti chimici attivi. La strategia che è spesso utilizzata a questo scopo dall’industria farmaceutica è l’analisi su vasta scala di decine o centinaia di migliaia di composti chimici, il cui effetto “terapeutico” viene valutato su cellule in coltura. Generalmente, lo screening primario porta all’identificazione di poche decine di composti attivi che vengono successivamente passati ad una fase secondaria in cui l’attività di ogni singolo composto deve essere valutata con vari tipi di studi in vitro. Lo scopo è la conferma dell’effetto correttivo e la possibile comprensione del meccanismo d’azione. La scelta dei composti migliori tiene conto dell’efficacia e della specificità d’azione. Una scrematura ulteriore dei composti si basa anche su criteri di chimica farmaceutica: assenza di gruppi potenzialmente tossici, proprietà chimico-fisiche favorevoli per la somministrazione in vivo, possibilità di modifiche delle struttura chimica di base per la produzione di composti migliori. Quest’ultima caratteristica è particolarmente importante per lo stadio successivo in cui i composti più promettenti vengono “ottimizzati”. Si procede infatti a una modifica della struttura chimica per generare composti analoghi con alta affinità, cioè in grado di riconoscere selettivamente il bersaglio desiderato (la proteina CFTR nel caso della fibrosi cistica). L’aumento dell’affinità di un composto permette di migliorarne la specificità e di ridurre la possibilità di effetti indesiderati. La prima fase descritta finora (identificazione – valutazione – ottimizzazione) richiede in media dai 3 ai 5 anni. In caso di successo, questa fase genera uno o più farmaci sperimentali che vengono quindi valutati in studi preclinici che possono durare dai 2 ai 3 anni.
Nella fase preclinica vengono effettuate delle prove in vitro e su modelli animali per determinare la stabilità di un composto all’interno di un organismo vivente, l’eventuale tossicità e l’efficacia. Questi studi permettono di identificare le dosi e le condizioni migliori per la somministrazione di un farmaco in grado da garantirne la permanenza all’interno del corpo a concentrazioni ottimali. La fase preclinica serve anche per produrre tutta una serie di dati che sono richiesti dagli enti pubblici di controllo per approvare la sperimentazione di una nuova sostanza sull’uomo. Infatti, la fase successiva dello sviluppo di un farmaco è la sperimentazione clinica che può iniziare solo dopo che siano stati soddisfatti tutti i criteri stabiliti per legge perché un nuovo composto venga provato su esseri umani.
La sperimentazione clinica è classicamente suddivisa in tre fasi.
La fase I viene effettuata su un numero ristretto di individui (poche decine) ed è rivolta solo alla dimostrazione della tollerabilità e sicurezza del farmaco sperimentale e non dell’efficacia terapeutica. Questo punto viene invece valutato nella sperimentazione clinica di fase II. A questo livello si effettuano studi su un numero maggiore di pazienti (100-300). I pazienti vengono normalmente divisi in due gruppi, uno solo dei quali trattato con il farmaco sperimentale e l’altro con placebo. E’ proprio a livello degli studi di fase II dove spesso un farmaco può fallire, o perché si rivela scarsamente efficace oppure perché mostra inaspettatamente proprietà tossiche. Se gli studi di fase II producono risultati positivi si procede alla fase III in cui si esamina un gruppo di soggetti molto maggiore (1000-3000) per confermare definitivamente l’efficacia e l’eventuale superiorità rispetto a trattamenti terapeutici già in uso. Gli studi di fase III sono ovviamente quelli più difficili e dispendiosi e richiedono il coinvolgimento coordinato di diversi centri clinici. Se coronati da successo, i risultati degli studi di fase III vengono combinati con tutte le altre informazioni relative al nuovo farmaco per ottenere l’approvazione definitiva da parte di organismi di controllo quali la FDA americana o l’EMEA europea.
In definitiva, lo sviluppo di un nuovo farmaco richiede una lunga serie di fasi che coinvolgono un notevole dispendio di risorse umane e finanziarie. Contrariamente a quella che può essere l’opinione comune, i costi maggiori non riguardano la ricerca di laboratorio iniziale ma la fase successiva di sperimentazione clinica. Il costo per lo sviluppo di un nuovo farmaco (che è stato stimato sui 500 milioni di dollari da parte delle industrie farmaceutiche) può essere particolarmente proibitivo per le malattie genetiche, considerate dalle industrie farmaceutiche un settore più rischioso e meno remunerativo rispetto a malattie molto più diffuse. Tuttavia bisogna considerare che sono state approntate varie misure negli USA e in Europa per aiutare lo sviluppo dei cosiddetti “farmaci orfani” (orphan drugs), cioè farmaci per malattie relativamente rare. Tali misure comprendono esenzioni fiscali, finanziamenti pubblici, particolari condizioni favorevoli per lo sfruttamento del brevetto e semplificazione delle procedure di controllo e approvazione. Queste particolari misure possono effettivamente attrarre l’interesse e favorire il coinvolgimento di industrie farmaceutiche nello sviluppo di un farmaco per una malattia genetica quale la fibrosi cistica.