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L’infiammazione polmonare in fibrosi cistica

7 Dicembre 2016
Autore: Intervista di Flaminia Malvezzi a James Chmiel in occasione della XIV Convention dei Ricercatori FFC (Garda 24-26 novembre 2016)

James Chmiel, è pediatra specialista nelle malattie polmonari. Un ricercatore di fama internazionale, coinvolto in molti clinical trials sull’asma pediatrica e sulla fibrosi cistica, nonché direttore del LeRoy W. Matthews Cystic Fibrosis Center di Cleveland (US).

Com’è iniziata la sua carriera di medico e ricercatore e cosa l’ha portata verso la fibrosi cistica?

Ero uno studente di medicina presso il Michigan Medical School (nello stato del Michigan) e mi sono trovato per il mio terzo anno, durante il corso di Medicina Polmonare degli Adulti, a dover seguire una giovane paziente di 19 anni malata di fibrosi cistica. Una volta laureato, sono andato a fare la specializzazione in Pediatria al Children’s Memorial Hospital di Chicago, dove ho conosciuto molti pazienti malati di fibrosi cistica. Loro avevano circa 20 anni e io poco di più, per cui mi sono sentito trasportato verso di loro in modo quasi naturale, mi rivedevo in loro. È stato così che ho accettato una borsa di studio a Cleveland presso il Rainbow Babies and Children’s Hospital and Case Western Reserve University School of Medicine (nell’Ohio), dove mi sembrava venisse svolta la migliore ricerca. Mi piaceva prendermi cura dei pazienti, ma allora ho capito che fare ricerca poteva significare aiutare un’intera popolazione di pazienti.

Oggi abbiamo a disposizione sempre maggiori conoscenze sulla precocità di infiammazione, anche nel bambino FC molto piccolo. Perché questa infiammazione?

 L’infiammazione in fibrosi cistica lascia molto perplessi. Sappiamo che avviene in maniera molto intensa, sappiamo che danneggia progressivamente il polmone, ma non sappiamo perché avviene e perché sembra che sia superiore di quanto sia necessario per controllare l’infezione. Non conosciamo la relazione tra il difetto genetico e questa esagerata risposta infiammatoria, e questo è un campo di ricerca aperto.

Come si può diagnosticarla dal momento che è invisibile ai nostri occhi?

Come dicevo, sappiamo che tutti i pazienti hanno infiammazione, ma determinare quanta infiammazione è estremamente difficile, specialmente nei bambini. Vi sono dei marcatori, quali i neutrofili (un tipo di globuli bianchi, ndr) nel muco o specifici marker nel sangue, ma i bambini ad esempio non sono in grado di espettorare muco quando sono molto piccoli. Spesso l’unica soluzione è fare una broncoscopia, che non può essere eseguita spesso e il cui risultato può essere assolutamente sorprendente. La broncoscopia, oltretutto, non viene fatta con lo scopo primario di determinare lo stato infiammatorio. Si fa quando una terapia antibiotica non sta dando frutti e si vuole capire come mai, andando alla ricerca direttamente nelle vie bronchiali dello specifico batterio che ne è responsabile e che forse non è stato identificato nell’espettorato o nel tampone faringeo. Un esempio concreto di quanto possano essere complicate le cose: avevo due gemelline di sei mesi come pazienti (le ho tutt’ora), che erano state operate per altri motivi. Mentre erano sotto anestesia, abbiamo praticato loro una broncoscopia. Nonostante non avessero sintomi respiratori, abbiamo ugualmente controllato lo stato infiammatorio dei fluidi provenienti dal polmone, che è risultato diversissimo per le due bambine, con neutrofili al 40% per una e all’88% per l’altra, quando il valore normale è inferiore al 5%. Il risultato è ancora più sorprendente pensando che non avevano sintomi respiratori.

Sarebbe possibile pensare a un pannello di biomarcatori per monitorarla?

Anche questo è un argomento attuale di ricerca, molti gruppi sono alla ricerca di biomarcatori. Allo stato attuale il campo di ricerca è aperto, e abbiamo sicuramente bisogno di  biomarcatori migliori rispetto a quelli disponibili.

La letteratura riporta di molte molecole e di molti target infiammatori, ma di farmaci anti-infiammatori ne abbiamo pochi. Perché poche molecole arrivano poi sul mercato? 

La mia opinione è che non c’è abbastanza ricerca sull’infiammazione e quella che c’è rimane solo in superficie. È come la parabola degli uomini ciechi e dell’elefante: un uomo tocca la coda e pensa che l’elefante sia un serpente; uno tocca le orecchie e pensa che sia un ventaglio e così via. Ogni ricercatore vede una cosa diversa, parziale. Bisognerebbe riuscire a mettere insieme tutti i diversi punti di vista. Continueremo a trovare infiammazione nei pazienti; noi trattiamo l’infiammazione nei nostri pazienti come fosse la stessa per tutti, ma io penso che bisognerebbe pensare a qualcosa di più personalizzato. È probabile che un paziente abbia bisogno di un certo insieme di farmaci, tra anti-infiammatori e modulatori CFTR; un altro paziente di una combinazione diversa. In poche parole, le nostre conoscenze sulla risposta infiammatoria sono, allo stato attuale, molto elementari, e c’è bisogno di molta ricerca di base.

È pensabile che avendo a disposizione farmaci che normalizzano la CFTR difettosa ci sia anche la normalizzazione dell’infiammazione FC?

Le medicine che curano il difetto di base avranno sicuramente effetto sull’infiammazione visto che è una conseguenza del malfunzionamento di CFTR. La domanda è quanto possa essere significativo questo impatto. Di nuovo, non conosciamo la relazione tra la CFTR malfunzionante e l’infiammazione. Rimane il fatto che cominciando un trattamento precoce nella vita di un paziente, con l’opportuno modulatore di CFTR difettosa, sarà tutto molto più semplice anche in termini di infiammazione.

Cosa pensa della ricerca italiana e della Fondazione Ricerca FC e cosa vede nel futuro della fibrosi cistica?

La ricerca italiana in fibrosi cistica è alla pari con il resto del mondo. È molto chiaro l’impegno della Fondazione nel portare avanti il più alto livello di ricerca, consapevole dell’importanza della ricerca scientifica. Penso che i malati di fibrosi cistica siano molto fortunati in Italia ad avere una organizzazione come FFC, che ha chiaramente come scopo principale quello di migliorare la loro qualità di vita.

Io ho cominciato a fare ricerca 20 anni fa e da allora sono cambiate molte cose. Penso che nei prossimi 15-18 anni vedremo o la cura della fibrosi cistica oppure i pazienti convivere conla malattia ma non morirne. Sarò contento se questa mia ipotesi si avvererà e, spero, prima di andare in pensione, di occuparmi solo di asma perché la fibrosi cistica è stata curata.

 

Lung inflammation in Cystic Fibrosis

Interview of Flaminia Malvezzi to James Chmiel at the XIV Convention of the FFC Researchers (Garda 24 to 26 November 2016)

James Chmiel, is pediatric specialist in lung diseases. He is an internationally renowned researcher, involved in many clinical trials on pediatric asthma and cystic fibrosis, as well as director of the LeRoy W. Matthews Cystic Fibrosis Center of Cleveland (US).

How did your career start and what brought you to Cystic Fibrosis?

I was a medical student at Michigan Medical School (in Michigan) and during my third year of medical school I worked on the Adult Pulmonary Medicine ward.  Here, I took care of my first Cystic Fibrosis patient, a lovely young girl 19 years of age. Once I graduated from medical school, I did my training in Pediatrics at Children’s Memorial Hospital in Chicago, where I met many patients suffering from CF. They were about 20 years old and I was twenty-something, so I felt naturally drawn to them as I could see myself in their situations. This is why I accepted a fellowship in Cleveland (Ohio) at Rainbow Babies and Children’s Hospital and Case Western Reserve University School of Medicine.  I felt that the CF research being conducted there was some of the best on the field.  During my fellowship training, I enjoyed caring for individual patients with CF, but I realized that it was through research that I could help populations of patients.

Today we have great knowledge on inflammation and its consequences even in very young children. Why is there all this inflammation?

Inflammation is very complicated in Cystic Fibrosis. We know it occurs early in life, it occurs in great amounts, and that it progressively damages the lungs. However, we do not know why it happens and why it seems to be greater than what is needed to control the infection.  We do not understand the relationship between the genetic defect and that exaggerated inflammatory response.  Currently, this is an active area of research.

What diagnostic techniques do we have for inflammation, since it is invisible to our eyes?

We know that all patients have inflammation, but determining “how much inflammation” an individual patient has is extremely difficult, especially in a young child. There are markers, such as neutrophils in the mucus or specific markers in the blood, but children for example are unable to expectorate mucus. Often we end up doing a bronchoscopy, and we are often surprised by what we find. Moreover, we do not do bronchoscopies to screen for inflammation, we do them when a patient is ill and antibiotic therapy is not producing results. Typically, we are looking for bacteria that are not growing on cultures from the throat.  Once I performed a bronchoscopy on twin sisters who were six months old.  They were having surgery for another reason, and I decided to do a bronchoscopy while they were under anesthesia.  Although they had no respiratory symptoms, we decided to check the fluid from their lungs for inflammation.  The results were astonishing the alveolar bronchus fluid from one girl showed 40% neutrophils and the other showed 88% neutrophils.  Typically we see less than 5% neutrophils in alveolar bronchus liquid.  It is even more remarkable that cultures of the fluid from either girl did not grow any bacteria. 

Could we think of effective biomarkers to monitor inflammation?

This is also an important topic of research. Many researchers around the world are looking for the best biomarkers of inflammation. At present, this research field is open. We definitely need better biomarkers than those already available.

Literature reports of many inflammatory molecules and many potential targets, however we do not have anti-inflammatory drugs as we would like to. Why is this?

My opinion is that there is not enough research on inflammation and that we have just begun to understand research in cystic fibrosis.  We have only scratched on the surface. It is like the parable of the blind men and the elephant: one man touches the tail and thinks the elephant is a snake, another one touches its ears and thinks it is like a fan, and so on. Every researcher sees something different.  We need to bring together the different viewpoints of inflammation and really start doing more intense research into the reasons why there is so much inflammation in cystic fibrosis. I think we will continue to have inflammation in all patients far into the future.  Right now, we treat all patients the same, but eventually we must figure out something more personal. It is likely that some patients will require a certain combination of anti-inflammatory drugs and CFTR modulators, and another patient will require a different combination. Right now, we are so elementary in the understanding of the inflammatory response that we need more basic science research.

If we had drugs to address the basic defect and normalize CFTR, would this allow to suppress inflammation?

Drugs that treat the basic defect will surely have some impact on inflammation. It just makes sense because inflammation is down-stream of basic defect. The question is how large would that impact be? Again, we do not understand the relationship between the malfunctioning CFTR and inflammation. We believe that starting treatment early in the life of a patient with the appropriate CFTR modulator will make it much easier to address the inflammation.

What do you think of Italian research and of the Foundation and what do you see in the future of CF?

The Italian research in CF is on par with the science being done in the rest of the world. It is clear there is a commitment from the Italian CF Research Foundation to conduct the highest quality of research.  The Italian CF Research Foundation is aware of the importance of scientific research in improving the lives of patients. People with CF who live in Italy are extremely lucky to have such an organization as the Italian CF Research Foundation looking out for them.  The primary goal of this organization is to improve the lives of people with CF.

I started conducting research 20 years ago, and since then many things have changed. I think that in the next 15-18 years, either we will have a cure for this disease or we will turn cystic fibrosis into a disease that patients will live with but not die from. I would be happy at the end of my career if this were the situation.  Before I retire, I hope that I will be taking care of only patients with asthma because we have cured cystic fibrosis.